All’anagrafe fa Luca Medici, ha una laurea in Giurisprudenza sulle spalle (lui vi toglierebbe volentieri una consonante…), ma per il grande pubblico che l’ha conosciuto tramite le sue esibizioni televisive a Zelig a partire dal 2005 è semplicemente Checco Zalone, dal dialetto barese che cozzalone, ovvero gran cafone o gran tamarro, cantante neomelodico pugliese particolarmente abile nella rielaborazione di tutti i generi musicali, oscillando tra l’esecuzione musicale raffinata, “colta” e testi irriverenti caratterizzati da un’ostentata volgarità che si accompagna a studiate storpiature grammaticali: il tutto non appare mai fine a se stesso, ma incanalato in un percorso volto ad esaltare il trionfo della mediocrità, specchio, volenti o nolenti, dei nostri tempi attuali.
Come per gran parte dei comici d’estrazione televisiva, anche per Checco è giunto il momento del debutto cinematografico, con Cado dalle nubi, regia del suo amico Gennaro Nunziante, neofita alla macchina da presa, con il quale è autore della sceneggiatura, insieme a Pietro Valsecchi: con toni autobiografici, pur se non strettamente, il film è incentrato sulla figura del giovane Checco, che vive a Polignano a Mare (paese natale di Modugno), coltivando il sogno di diventare un cantante famoso, accontentandosi per il momento di suonare al pianobar di una gelateria, abbandonando il lavoro di muratore con lo zio; ha un grande amore, Angela, a cui ha dedicato un intero cd, che però lo lascia, stanca di aspettare un successo che non arriva, desiderosa di sposarsi e mettere su famiglia. Per Checco è il momento delle scelte, partirà per Milano, alla ricerca di migliori opportunità, dove sarà ospitato dal cugino Alfredo (Dino Abbrescia). Qui inizieranno esilaranti avventure, perché Checco, palesemente grezzo ed ignorante, dovrà confrontarsi con una realtà per lui nuova e sempre vissuta con preconcetti: dalla omosessualità del cugino, che convive con un uomo, all’incontro con il “Partito del Nord” (e sostituzione dell’acqua della nota ampolla con la sua urina), all’amore, non ricambiato, per la bella Marika (Giulia Michelini), che è attiva nel volontariato (al quale parteciperà anche Checco), allo scontro con il padre di lei, “nordista” doc (uno stupendo Ivano Marescotti), cui riempirà la casa di orecchiette e burrate, sino ad arrivare, dopo una certa evoluzione (tutto è relativo), al sospirato trionfo ad un talent-show e al matrimonio con Marika.
Una storia lineare, anche troppo, senza particolari slanci, con la quale si (sor)ride volentieri, che pecca di un’eccessiva “pulizia” riguardo l’irriverenza originaria del personaggio, quella propria dei suoi testi musicali, con una satira più di superficie che realmente graffiante, per quanto efficace. Checco riesce però dove molti suoi colleghi al debutto sul grande schermo hanno fallito, cioè conferire sia valenza narrativa al suo linguaggio sgrammaticato e politicamente scorretto, sia dignità artistica al suo personaggio, elevandolo a nuova maschera del nostro cinema, rappresentante non più dell’uomo medio, ma, come ho già detto a inizio articolo, della sua “meravigliosa mediocrità.”