cera-una-volta-in-america-directors-cut-L-pcixHRC’era una volta un regista, Sergio Leone, capace di prenderti per mano e portarti con sé, riuscendo, senza alcuna forzatura, a farti entrare nel suo mondo, costruito ed idealizzato a misura cinematografica, ricco certo di varie influenze, ma adattato alla propria visione delle cose, nella cinica consapevolezza di come va il mondo.
Ti faceva credere che ciò che vedevi sullo schermo fosse il “vero” western, perché appariva quanto immaginato quando con i tuoi amici si giocava “a fare i cowboys”… Sparatorie cruente ed eroi immortali, pronti a rialzarsi (sorpresa!) anche se colpiti al cuore dalle pallottole di un fucile e nella mente dalla nenia di un carillon o, ancora, persi nel miraggio folle di una facile ricchezza, intenti ad una caccia al tesoro mentre impazza la Guerra Civile.
E come dimenticare l’ eguale respiro epico nel narrare contemporaneamente l’epopea del West e il suo tramonto, o la visualizzazione di quanto detto da Mao, “la rivoluzione non è un pranzo di gala”…

cera-una-volta-in-america-directors-cut-L-wZvO7ROra, grazie ad un benemerito lavoro di rimontaggio del suo capolavoro-testamento datato 1984, C’era una volta in America (sei scene inedite), voluto dalla famiglia e realizzato grazie, tra gli altri, alla Cineteca di Bologna, per la conseguente riedizione in sale selezionate, è sempre lui a rammentarci che, in un tempo neanche tanto lontano, esisteva un certo tipo di cinema, capace di sognare in grande e di restituirti il sogno con gli interessi, tra sicuro mestiere e sana artigianalità. Ispirato al romanzo autobiografico The Hoods (da noi A mano armata) di Harry Grey (pseudonimo di David Aaronson), il film può vantare una sceneggiatura piuttosto ardita, alla cui stesura partecipò lo stesso regista, opera di “mostri sacri” quali Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli e Franco Ferrini, capace di lavorare su diversi piani temporali ( 1922-1933-1968) senza seguirne la naturale scansione, alternandoli e riuscendo a comporre un affascinante unico fluire, lirico ancora prima che epico.

Robert De Niro
Robert De Niro

Viene così offerta a Leone, alla sua indubbia abilità registica, la possibilità di focalizzare la propria idea del classico “sogno americano”, un gangster movie connotato dal forte contrasto tra toni fiabeschi ed una realtà dura, sanguigna, estremamente violenta, come evidenziato ulteriormente dalla dolcezza della musica di Ennio Morricone in contrapposizione alla cupa fotografia di Tonino Delli Colli: l’ascesa di un gruppo di ragazzi cresciuti nel quartiere ebraico di New York, che hanno le loro guide in Noodles e Max (Robert De Niro e James Woods, una volta adulti), la “evoluzione” dai piccoli furti alle rapine in grande stile e agli omicidi che gli permetteranno di creare una vera e propria società in pieno Proibizionismo, anche se le loro strade si separeranno, per ricongiungersi definitivamente, nell’illusione di un’amicizia che li vedrà ancora uniti, almeno nel rimpianto e nella consapevolezza di una sofferenza che, per entrambi, non finirà mai.

Elizabeth McGovern e Robert De Niro
Elizabeth McGovern e Robert De Niro

In mezzo, l’amore idolatrato, sin da ragazzo, di Noodles per Deborah (Elizabeth McGovern), la quale crede fermamente nella possibilità che si realizzi il proprio sogno, insudiciato da un uomo che confonde l’amore con il possesso, capace, nell’impossibilità di comprendere ed accettare un rifiuto, di passare dal tenero romanticismo (l’intero ristorante prenotato ed allestito appositamente per il loro incontro) alla violenza più sordida ed incomprensibile (lo stupro in auto, ancora oggi un pugno nello stomaco): C’era una volta in America ha la sua forza stilistica ed espressiva proprio in questi contrasti tra sequenze particolarmente commoventi (l’assassinio di Dominic, che muore sussurrando “Sono inciampato”), giocate anche sul filo di una particolare ironia (splendido il tuffarsi di Patsy, ancora ragazzino, sul dolcetto alla panna che doveva servirgli a far sì che la coetanea Peggy gli concedesse le sue grazie), ed altre, per l’ appunto, piuttosto crude, per quanto necessarie nel delineare la psicologia dei personaggi.

James Woods
James Woods

A questo riguardo, sottolineando la bravura di Woods nel far risaltare il cinismo opportunista di Max, nell’apparenza estremamente conviviale, la sua capacità d’adattarsi ad ogni evento, imprevisti compresi, senza guardare troppo per il sottile, risulta difficile non riconoscere nel Noodles interpretato con rara misura da De Niro, sino all’identificazione più pura e completa, violento ma con una sua morale di fondo, quasi ingenuo nel suo approcciarsi alla vita, tra disillusione, disincanto e macabra ironia, lo stesso Leone. Siamo di fronte ad un’ opera, ora compiutamente definitiva, che, tra pregi e difetti, non può lasciare indifferenti, anche grazie alle suddette superbe interpretazioni, mantenendo inalterato il suo fascino ipnotico, per un viaggio nel tempo dal sapore onirico (la circolarità dell’intera vicenda, nella coincidenza tra sequenza iniziale e finale).

"Sono inciampato"
“Sono inciampato”

Il lascito di Leone è volto ad assicurare, più che la propria immortalità, quella del cinema stesso, grazie ad una simbiosi tra limpidezza dello sguardo e magica sospensione temporale, per cui tutto sembra accadere ora, con vita e finzione a mescolarsi tra loro, come uno spettacolo d’ ombre cinesi: in fondo, “siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni” e l’ambiguo sorriso di Noodles in chiusura sarà sempre lì a ricordarcelo.

cera-una-volta-in-america-directors-cut-L-ckZSsL

2 risposte a “C’era una volta in America (Director’s Cut)”

  1. Ciò che inizia a parlare quando in un contesto di diversa natura appare l’immagine o qualche minimo dettaglio dei film di Sergio Leone è solamente il cuore. La sua è una presenza costante che dal giorno della scoperta di cosa è riuscito a realizare con i suoi capolavori si è focalizzata maggiormente nella mia mente. Dal cinema di Leone ho compreso che attraverso la macchina da presa si può dar vita a tutto, anche alle emozioni più nascoste che sono dentro di noi e che con le parole non riusciamo ad esprimerli. Film di tale spessore come C’era una volta in America e il west poche altre volte sono stati raggiunti e il pensiero più triste è che di film Sergio Leone ne ha fatti pochissimi. Penso sempre al suo Leningrado (che ha intenzione di realizzarlo Tornatore), ad altri soggetti lasciati sospesi e mi dico che questa è stata una gravissima perdita per il cinema. E poi Morricone, che cosa si può dire del maestro? bisogna solamente ascoltarlo.

    "Mi piace"

    1. Ciao Cristian. Condivido in pieno quello che hai scritto: Leone ha firmato le sue opere con il cuore, facendo partecipare tutti noi alla sua idea di cinema. Qualche sera fa, quando ho potuto rivedere in sala “C’era una volta in America”, finalmente “ricomposto” come lui l’aveva concepito, mi sono emozionato e ho pensato proprio al film sull’assedio di Leningrado in progetto e che non ha fatto in tempo a realizzare, così come tanti altri che aveva in mente, sempre nella sua innata capacità di pensare in grande, di emozionare, di stupire… Come ripeto spesso, un attore, un regista, vivranno sempre nella mente e nel cuore di quanti li hanno amati, e, per quanto mi riguarda, in ambedue Leone occupa e occuperà sempre un posto particolare.

      "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

In voga