Quest’estate ho assistito alla proiezione a Bivongi, in anteprima nazionale, del film Oggi come ieri, del regista calabrese Gregorio Calabretta, autore anche del soggetto e della sceneggiatura.
Con i pochi mezzi a disposizione, potendo fare affidamento su comparse ed attori non professionisti( tutti bivongesi ed alla loro prima esperienza cinematografica), il regista ha realizzato un affascinante viaggio nel tempo dai toni elegiaci, illustrando con rispetto e malinconica esaltazione valori, usi e costumi di un nostro passato neanche tanto lontano.
Il film ha inizio grosso modo negli anni ottanta, con il ritorno del protagonista a Bivongi, suo paese natale: alla vista della sua vecchia abitazione, così come di ogni angolo del paese, si lascerà andare ai ricordi, passando dal passato al presente e viceversa, arrivando così alla Bivongi di fine anni ’40, dominata dalla contrapposizione tra la borghesia latifondista e i contadini che curano le terre, i quali iniziano a rivendicare i loro diritti e ad organizzare uno sciopero; viene visualizzata la vita della povera gente, i miseri pasti, l’osteria come punto di ritrovo, si delineano i caratteri di tanta, varia, umanità e sullo sfondo si inserisce la storia d’amore tra il protagonista e la figlia di un ricco possidente, ostacolata per la differenza sociale tra i due e che porterà la donna a sposare un suo pari, che il regista sublima metaforicamente nell’amore mai cessato per la propria terra; nel finale, passato e presente si ricongiungono, con l’incontro chiarificatore tra l’uomo e la donna.
Molto valido il montaggio, curato dallo stesso regista e da Fausto Colubriale e bella la colonna sonora di Igor Gullà.
Pur se a molti il confronto potrà apparire stridente, avendo visto in questi giorni il film Baarìa di Giuseppe Tornatore, ho notato alcuni punti di contatto tra le due opere, come il poetico fluire del tempo, il rimpianto e il rispetto per una civiltà antica e i suoi valori fondanti, il valore dell’impegno politico anche come tentativo di riscatto sociale, pur se poi si esprimerà nell’assunto gattopardiano “che tutto cambi perchè tutto resti uguale”: ovviamente il film di Tornatore appare ben più complesso nella sua struttura, abbracciando settanta anni di storia nazionale e locale, facendo coincidere avvenimenti storici con le vicende private dei protagonisti, prediligendo toni onirici e metafisici, puntando sul fascino perduto del cinema come capacità di esprimere poesia e forza ammaliatrice, a scapito di verosimiglianza e attenzione a particolari eventi della storia patria.
Oggi come ieri vede come produttore il Comune di Bivongi, insieme al Teatro Studio Mediterraneo, con il patrocinio dell’ Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, Baarìa ha i mezzi forniti da una grande casa di produzione, può contare su un enorme battage pubblicitario e avanzerà di gran passo verso la conquista dei botteghini nazionali ed internazionali, facendo incetta di premi, o almeno è quello che gli si augura, anche come segnale di speranza per il nostro cinema. E qui a mio parere risalta l’ evidente contraddizione di un mercato ormai globalizzato, con tutti che hanno o sembrano avere le stesse possibilità per poter esprimere le proprie potenzialità, in una produzione diffusamente di massa, dove però opere di registi che potrebbero avere un loro spazio ed un loro pubblico, rischiano di non emergere, soffocate da una strana idea di progresso che, anche a causa di investimenti non sempre mirati e tagli ingiustificati, sembra aver lasciato per strada l’idea stessa del cinema come modalità espressiva e il suo valore didattico, dimenticando anche quell’artigianalità creativa che ha dato vita in passato ad una vera industria filmica. Certo, non ne sono sempre scaturiti capolavori, ma di fronte alla odierna medietà assunta a cifra stilistica, ne vien fuori una dignità artistica da valorizzare e tenere da esempio.





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