
Nei sotterranei dell’ Opéra di Parigi si aggira un uomo misterioso (Lon Chaney), avvolto in un mantello e con il volto coperto da una maschera: si dice che appaia e scompaia all’improvviso, meritandosi così l’appellativo di “Fantasma”.Lo vediamo dietro un muro comunicante con il camerino di Christine (Mary Philbin), sussurrarle il suo amore:lui l’ha istruita al canto ed ora vorrebbe farla divenire una grande cantante, sostituendo la primadonna Carlotta nel Faust che sta per essere rappresentato.
Invia una lettera di minaccia ai direttori per far sì che il suo volere si compia, e così avviene, per una sera, mentre alla seconda minaccia rifiutano di assecondarlo: il Fantasma fa precipitare il lampadario in platea e rapisce Christine, portandola, tra cunicoli segreti, nel suo appartamento, dove ancora una volta le dichiara il suo amore, suonando le musiche che ha composto per lei, rivelandole il suo nome, Erik.
La donna, atterrita, non resiste alla tentazione di levargli la maschera e il volto di Erik appare nella sua deformità : pur sconvolto per la reazione di Christine, la lascia andare via, continuerà ad aiutarla nella sua carriera, purchè non riveli a nessuno quanto ha visto.
Ma durante un ballo in maschera Christine si confida con l’amante Raoul (Norman Kerry), meditando di fuggire con lui: Erik sente tutto e la rapisce di nuovo. Dopo lunghi inseguimenti, omicidi, vani tentativi del “mostro” di convincere la donna ad amarlo, si giunge al tragico finale: Erik, costretto a risalire alla luce, sarà linciato dalla folla e gettato nella Senna.
Prima versione, la migliore e più fedele, del romanzo di Gaston Leroux (Le Fantome de l’Opéra, 1910), di cui gli sceneggiatori R.Schrock e E.J.Clawson seguono la trama, privilegiandone gli aspetti più terrificanti, dando maggior risalto ad un’atmosfera gotico-romantica, trasferendo ad Hollywood gli stilemi propri dell’espressionismo tedesco, tracciando le linee di base sulle quali si svilupperà l’horror degli anni 30.
La regia di Rupert Julian, pur attenta a seguire tali modalità espressive, con qualche felice innovazione(la scena del ballo in maschera girata in bicromia), non conferirebbe fascino al film se non vi fosse la presenza di Lon Chaney, “l’uomo dai mille volti”, passato alla storia per le sue strabilianti capacità di trasformazione e la fascinazione espressiva data dalla sua mimica facciale capace di sottolineare i momenti più drammatici: fu il primo attore a valorizzare l’uso della “maschera”, da sempre elemento essenziale della rappresentazione scenica ed attoriale, qui adoperata sia per nascondere un volto sfigurato, sia come paravento per celare la follia propria di chi si è visto sbeffeggiare dal destino.
Vari sono stati i remake, ma solo Chaney è riuscito ad esprimere la tragica duplicità del personaggio, sospeso tra malvagità demoniaca, rabbia per un mondo che guarda solo alle apparenze, ed umanità esprimente un vibrante bisogno d’amore, tra illusorietà e triste consapevolezza: chi avrà il coraggio di guardare dietro la maschera, non sempre sarà capace di guardare oltre ciò che essa nasconde.





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