In quel di Hollywood da tanto tempo circola un’amena storiella, che si presta a varie interpretazioni e comunque interessante e significativa, incentrata su due capre intente a “gustare” la bobina di un film tratto da un best-seller. Dopo il “lauto pranzo”, una dice all’altra: “personalmente preferisco il libro”.
Ecco, secondo i pavidi distributori nazionali, noi italiani o almeno quella parte la cui mente non è ancora offuscata dalla pletora di prodotti letterari, cinematografici e televisivi che hanno ormai trasformato la “medietà” in mediocrità, facendone emblema imperante, non siamo, a livello di facoltà di giudizio, neanche paragonabili alla capretta della storia di cui sopra.
Infatti, del film di James Hillcoat The road, tratto dall’omonimo libro di Cormac McCarthy, pubblicato nel 2006, vincitore del Premio Pulitzer ( La strada in Italia, edito da Einaudi) e forte di un milione di copie vendute in America, probabilmente non vi sarà traccia nelle sale italiane, “perché troppo deprimente”: viene così stroncata sul nascere ogni possibilità di giudizio critico, a partire dal confronto tra libro e film per quanti abbiano letto il primo e siano curiosi di vederne la visualizzazione sul grande schermo o, viceversa, la curiosità di leggere il libro per chi abbia solo visto il film, un gioco delle parti che è sempre esistito e che è alla base, in entrambi i casi, di uno stimolo intellettuale certamente da non sottovalutare.
Il romanzo è incentrato sul viaggio “on the road” di un padre e del suo figliolo, dopo che la Terra è stata devastata da una catastrofe della quale non viene fornita alcuna spiegazione, descrivendo un baratro fisico e morale, con un’umanità ormai allo sbando e tornata al cannibalismo: probabilmente il film di Hillcoat (mai criticare un film senza vederlo, appunto), in base a quanto circola sul web, non sarà all’altezza dell’opera letteraria, essendo presenti concessioni “dovute” nei confronti del grande pubblico (come una storia d’amore narrata tramite flashback, che pare stoni con l’essenzialità narrativa), ma lasciateci liberi di giudicare!
Gli stessi produttori americani hanno incontrato difficoltà nel lanciare la pellicola, l’uscita è stata rinviata per tre volte, slittata di oltre un anno, ne hanno cambiato la locandina, hanno cercato di includerlo nel novero dei film apocalittici tanto di moda e di facile presa, per cui alla fine su un costo complessivo di venti milioni di dollari, ne ha incassati solo sette: è quindi comprensibile il timore dei distributori italiani, in particolare di quelli indipendenti, ma perché assecondare questo triste degrado dei gusti del pubblico, sull’assunto di una ancora più triste censura commerciale e preventiva, “non te lo faccio vedere perché so che non lo vuoi vedere”?
Perché ritenere a priori che il pubblico non sia tanto maturo e consapevole dall’aver paura di soffrire ed addirittura deprimersi per la morte del protagonista? Si salva solo il bambino, simbolo di nuova vita e di una rinnovata speranza, di un nuovo mondo: partiamo da questo allora, non lasciamo alle nuove generazioni la sensazione di esserci arresi al degrado elevato a stile di vita, lasciamogli la possibilità di percorrere una nuova strada, di dar vita ad un domani migliore.





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