Francis Ford Coppola (Detroit, 1939) è un autore dotato, in egual misura, di un geniale intuito e di un gusto per l’eccesso proprio di molti suoi film, con esiti non sempre convincenti; diplomatosi in drammaturgia alla Hofstra University e specializzatosi in cinematografia alla University of California di Los Angeles, lavora con Roger Corman, esordendo nel ’63 con l’horror Terrore alla tredicesima ora. Scrive sceneggiature (Patton, generale d’acciaio, un Oscar), dando vita, nel ’71, al suo primo successo, Il padrino, tratto dall’omonimo romanzo di Mario Puzo, autore della sceneggiatura insieme allo stesso Coppola, un Oscar dei tre in totale (miglior attore, Marlon Brando, miglior film).
America, anni ‘40:come consuetudine, durante la festa per le nozze della figlia, il “padrino” don Vito Corleone (Brando) promette aiuto e protezione a parenti e amici. Sollozzo, a nome della “famiglia” Tartaglia, chiede finanziamenti e appoggi per il traffico di droga e il rifiuto scatena la lotta tra le due cosche, don Vito viene ferito gravemente; il figlio minore Mike (Al Pacino), laureato ed eroe di guerra, lo salva da un secondo attentato e, stupendo il fratello Sonny (James Caan) e il fratellastro “consigliori” Tom (Robert Duvall), organizza un incontro con Sollozzo e un corrotto capitano di polizia uccidendoli entrambi.
Per evitare vendette, “emigra” in Sicilia e qui s’innamora di Apollonia e la sposa, ma quando questa muore in un attentato e Sonny viene ucciso dai rivali, torna negli Stati Uniti. Dopo un vano tentativo di riappacificazione fra le varie “famiglie”, Don Vito, poco prima di morire, nomina “padrino” Mike, il quale si rivela tanto spietato da far uccidere anche il cognato “traditore”, dopo averne battezzato il figlio.
Girato con sapida lentezza, senza complicati movimenti di macchina o zoom invasivi, ma sempre funzionali alla narrazione, come nello splendido inizio, valorizzando l’interpretazione degli attori (Brando su tutti, voce roca e gesti lenti), il film ha toni solenni ed epici, da tragedia greca, con il sapiente utilizzo di ogni elemento, anche folcloristico o caricaturale, per conferire all’opera la giusta atmosfera, cioè quella corrispondente all’immaginario del regista e degli spettatori.
Nessun manicheismo bene-male, ma la loro mescolanza, come nella scena del battesimo, dove il montaggio alterna con disinvoltura le scene “sacre” a quelle della mattanza ordita da Mike; sottolineata dalla musica di Nino Rota, potente appare la ricostruzione storica prima, psicologica poi, incentrata sulla figura di Mike, il passaggio dal vecchio al nuovo, da una criminalità ancorata agli antichi codici dell’onore e del rispetto, a quella più volta al potere e a tutto ciò che può offrire.
Due sequel: Il padrino parte II, ’74, sei Oscar (film, regia, sceneggiatura, scenografia, De Niro attore non protagonista, la musica di Rota), ben riuscito, e Parte III, ’90, avvincente, ma troppo intriso della megalomania dell’autore.





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