Dal 2004, quando al Sundance Film Festival esordì il primo film di quella che si appresta a divenire una saga infinita, il personaggio di Saw l’enigmista, alias John Kramer (Tobin Bell), fa ormai parte dell’immaginario collettivo, certo in quello del pubblico più giovane. Ciò è dovuto soprattutto al macabro ma avvincente gioco di trappole e marchingegni, orditi da questo insolito killer seriale, versione moderna del classico “scienzato folle”, con truculenti effetti gore e splatter, più che per l’iconografia del personaggio, troppo freddo e distante nel suo particolare moralismo, intriso di un’insolita filosofia (malato terminale di cancro, impartisce alle sue vittime lezioni sul significato della vita, convinto che solo in estremo punto di morte lo si possa comprendere).
Il citato primo film, regista James Wan, cosceneggiatore insieme a L. Whannell, era un’opera a basso costo, nel complesso originale, ben diretta e confezionata, ma che evidenziava già una costruzione preordinata, ammiccante alla sperimentazione e creatività della tv seriale americana, per quanto molti, futuri fan della serie, venissero fuorviati dal gore di cui sopra, che portato tra vari eccessi al limite estremo della sopportazione visiva, era sublimato tra le precipue qualità, insieme alla fotografia “sporca”, da documentario, e i “salti” improvvisi e violenti da una scena all’altra.
Caratteristiche mantenute, stancamente, sino al recente Saw VI, nonostante i cambi dietro la macchina da presa (ora tocca a Kevin Greutert, montatore di tutta la saga).La storia prende avvio, dopo 5 minuti veramente cruenti, protagonisti due vittime di turno, praticamente dal finale del V, con il detective Straham (Scott Patterson) stritolato da una pressa, mentre il collega Hoffman (Costas Mandylor), rinchiuso in una teca di vetro, osserva la scena ghignante: è lui l’erede di Saw, morto nel terzo episodio, l’ esecutore testamentario, insieme alla moglie di questi, Jill (Betsy Russel), di un’ultima prova che vedrà coinvolte sei persone, a partire dall’ agente assicurativo William Easton (Peter Outerbridge), che aveva negato la copertura assistenziale sanitaria anche a John, necessaria per potersi permettere una cura sperimentale contro il cancro.
Hoffman non solo sta per essere scoperto dai suoi colleghi, ma dovrà temere la stessa Jill, che, memore delle “lezioni” del marito, vorrà fargli apprendere qualcosa di nuovo… Data per scontata la ripetitività delle varie situazioni, e il facile moralismo, mai incisivo, a far sempre da sfondo, considerati gli scarsi guizzi registici, a parte i flashback che tra vari salti temporali spiegano molte cose lasciate insolute nei precedenti episodi, e la scarsa espressività degli interpreti, resta da analizzare l’essere riusciti a portare sul grande schermo le caratteristiche proprie della serializzazione televisiva, con conseguente fidelizzazione.
Da personaggi ritenuti morti ora vivi e vegeti o presenti grazie ad artifizi tecnici e visualizzazioni ingenue, il legame con i precedenti episodi ripetuto con vari salti temporali, scambio dei componenti della squadra che sta dietro la realizzazione, il finale sospeso tra conclusione e continuità. Certo, ormai si avverte il bisogno, se non di una vera e propria conclusione, almeno di una maggiore freschezza, di un linguaggio meno pretestuoso e contorto, di un “ritorno alle origini”, ma all’orizzonte si palesa un Saw VII, ovviamente in 3D…





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