Enzo Romeo, giornalista (Siderno, RC, 1959), ha iniziato la sua attività collaborando presso alcune radio e tv locali e con vari giornali regionali; nel 1984 diviene redattore del quotidiano Oggi Sud, mentre nel 1988 viene assunto in Rai, lavorando al Tg1 Mattina.


Dal ’95 al ’97 è stato caporedattore a Rai International, quindi vaticanista ed inviato del Tg2, nel quale, dal 2002, è responsabile della Redazione Esteri. Piuttosto prolifica anche la sua attività di scrittore:La solitudine feconda (Progetto 2000, Cosenza, ’86); I solitari di Dio (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005); L’Oscar color porpora-Rodriguez Maradiaga, voce dell’America Latina (Ancora, Milano, 2006); Ricordi di un dissepolto (Rubbettino, 2008) ed infine Come funziona il Vaticano (Ancora, 2008).


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Il suo ultimo libro, Diagonale imparabile all’ultimo chilometro, Laruffa Editore, stupisce sin dal titolo, straniante e surreale, trovando giustificazione nelle due passioni sportive dell’autore, calcio (da ragazzo ha giocato nella Polisportiva San Giorgio di Siderno) e ciclismo (ha fatto parte di una squadra ciclistica, oltre che esserne stato tra i fondatori), e, man mano che si prosegue nella lettura, per il felice mix tra ironia e toni elegiaci, non disgiunti da una certa spiritualità. Inoltre i ricordi del passato, storici e personali, non rappresentano qualcosa di idealizzato, ma una semplice ispirazione: anche nel mondo dello sport contemporaneo, tra business e doping, i miracoli avvengono ugualmente, restando intatta, nelle varie discipline, quell’afflato favolistico che riesce sempre a rivestirsi di nuove connotazioni.

Romeo nella prefazione ci spiega il perché del titolo: la migliore disciplina sportiva potrebbe essere rappresentata da un biathlon costituito dai due sport, che, nella loro evidente e contraddittoria diversità, delineano un’epica comune; tramite “le gesta di Meazza o Coppi si può narrare la storia di un popolo, tramandare la memoria di una generazione”, trattasi di eroi “ordinari”, in cui tutti possono riconoscersi, rappresentando il sogno che irrompe nella vita di ognuno di noi sconvolgendone positivamente la banale quotidianità.

Il libro si suddivide in due parti, la prima, Diagonale imparabile…, dedicata al mondo del calcio, la seconda ,…all’ ultimo chilometro, a quello del ciclismo, per un totale di dieci racconti, ricchi di aneddoti storici e curiosità, che suscitano l’interesse anche di chi non sia particolarmente appassionato di sport, evidenziando l’evoluzione storica, culturale e di costume del nostro paese.

Tra quelli più belli, Un poeta sugli spalti: Umberto Saba, nel 15 ottobre del ’33, a 50 anni, entra per la prima volta allo Stadio del Littorio di Trieste, per assistere a Triestina- Ambrosiana Inter: considerando da sempre il gioco del pallone una “distrazione per il popolo incolto”, da quella partita in poi venne folgorato dalla partecipazione autentica che il pubblico assiepato sugli spalti rivolgeva alla propria squadra del cuore, tanto da dar vita ad una cinquina calcistica, Cinque poesie per il mondo del calcio.


Il profugo goleador: un riuscito melange tra storia calcistica locale e ricordi personali: il padre Franco Romeo, “don Ciccio”, commerciante in vini ed olii, nel gennaio del ’46 accetta di rilevare la Reggina, a stagione calcistica già in corso, all’epoca iscritta nel girone F del campionato Centro-Sud di serie C. La squadra sfiora la promozione in serie B e si assiste alla nascita di un campione, tale Erminio Becarich, esule da Fiume, acquistato per 25mila lire grazie alla soffiata di un venditore di cereali e poi venduto al Venezia per 50 milioni, che lo schiererà in serie A nel campionato ’49-’50.

Un riscatto chiamato Football Club:il calcio delle origini, quello dell’aggregazione e del riscatto sociale, rivive, pur tra molte difficoltà ed ostacoli, in una baraccopoli di Nairobi, Mathare Valley, dove, nell’ ’87, per intuizione di Bob Munro, funzionario delle Nazioni Unite, bianco e canadese, nasce MYSA, Mathare Youth Sport Association. Il gioco del calcio non solo fa da spinta alle varie attività sociali, artistiche e culturali, ma è collegato con l’attività di servizio della comunità e di pulizia della bidonville.

Un poeta al seguito:14 maggio ’48, la seconda esperienza del poeta Alfonso Gatto al Giro d’Italia, inviato de l’Unità, dopo il debutto dell’anno precedente. Incapace di andare in bici, nonostante le lezioni di Fausto Coppi in persona, e pur non avendo mai propriamente dedicato una poesia al mondo del ciclismo, Gatto seppe comunque, come sottolinea abilmente Romeo, dare ai suoi versi quella forza e quell’andatura en danseuse propria dello scalatore che si erge sui pedali, la vita osservata, in definitiva, con lo sguardo di “chi vede il mondo scorrere al ritmo di una pedalata”.

Il giro più lungo: prendendo spunto dalla tappa Reggio Calabria-Catanzaro, 172 km, Giro d’Italia del ’54, si evidenziano i primi cambiamenti, la presenza della tv, con la Rai che iniziava le sue dirette, l’elezione di una miss a tappa, con il concorso La Rosa del Giro, la carovana pubblicitaria, segnali del brusco cambio di rotta dell’ Italia da società agricola al boom economico. Ma le vere protagoniste, tra la scia variopinta dei ciclisti che scorre via, restano, emblematicamente come al primo passaggio del Giro in Calabria, due donne con gli abiti neri e le brocche d’acqua sulla testa.

Molto suggestivo, intriso com’è di toni poetici ed amarcord dal sentore felliniano, tra spensieratezza e dolore misto a rimpianto (la morte del padre, nel’66), il capitolo finale, Graziella e le altre. L’autore ricorda la sua prima bicicletta, la Graziella, appunto, prodotta dalla Carnielli, protagonista di infiniti giri nei magazzini paterni come di commissioni per conto della madre e assunta a valido mezzo per raggiungere la scuola, le prime imprese sportive con una Gitane arancione, passando per una Colnago azzurro avio “montata Campagnolo”, sino ad arrivare ad una Alan usata in alluminio, che al momento sta in garage, accontentandosi di qualche breve uscita, in attesa del lungo giro promessogli dal suo proprietario, senza preoccupazione alcuna del ritorno…

Un finale sospeso, in attesa forse di una nuova realtà, meno complicata e nuovamente a misura d’uomo, come quella rappresentata da monsieur Hulot/Jacques Tati nel film Mon oncle, ’58, una immagine del quale, credo non casualmente, campeggia in copertina, tradizionalmente non abilitata a fornire validità al giudizio di un libro, ma in tal caso opportuna pietra di paragone.

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