
Pittsburgh, Pennsylvania, 1996. Jamie Randall (Jake Gyllenhaal), giovane affascinante e sfrontato, classico “sciupafemmine”, abbandonati gli studi di medicina e il lavoro da commesso in un negozio di elettronica, dopo aver partecipato ad un corso di formazione di una nota casa farmaceutica, ne diviene rappresentante ed inizia a darsi da fare, sfruttando il fascino di cui sopra, per raggiungere al più presto quanto veramente gli sta a cuore, guadagni immediati e avanzamenti di carriera. In un’era che appare dominata da infelicità ed insoddisfazione cronica, non dovrebbe essere difficile piazzare un antidepressivo, anche se successivo a quello, più famoso, già lanciato dalla concorrenza.
Un giorno in uno studio medico Jamie conosce casualmente la bella Maggie (Anne Hathaway), giovane artista, afflitta da morbo di Parkinson al primo stadio, che nasconde la preoccupazione per la malattia vivendo alla giornata, sfruttando ogni momento volto a darle un barlume di spensieratezza e di momentanea serenità: l’incontro tra i due darà vita ad una liaison ad alto livello erotico, propendendo entrambi ad un “uso e consumo” reciproco sino a quando durerà; mentre il successo di Jamie non conosce limiti, grazie anche al lancio del Viagra, e la malattia di Maggie inizia ad avanzare, l’amore, quello con la “a” maiuscola, si insinua pian piano nella coppia…
Amore & altri rimedi (Love and Other Drugs, in originale, un po’ più efficace), tratto dal libro di Jamie Reidy Hard Sell:The Evolution of a Viagra Salesman, si palesa in buona sostanza come una commedia gradevole, ma con alcuni limiti evidenti, che lasciano un senso di irrisolto, di complessiva incompiutezza.
La regia di Edward Zwick (L’ultimo samurai, l’esordio con A proposito della notte scorsa), per quanto senza particolari slanci inventivi, è sufficientemente abile e accorta da valorizzare sia l’ambientazione, rendendola in certo qual modo compartecipe alla narrazione, complice anche la fotografia di Steven Fierberg, sia l’ottima interpretazione dei due protagonisti Gyllenhaal e Hathaway, impegnati tra l’altro in scene “hot” che tanto hanno fatto parlare, ma che alla fine si risolvono in un classico “vedo non vedo” e nei consueti mugolii di circostanza.
La sceneggiatura (autori lo stesso regista, Charles Randolph, Marshall Herskovitz) appare ben strutturata con dialoghi brillanti, qualche personaggio secondario ben studiato, come Hank Azaria, nei panni di un medico che ha messo da tempo in soffitta il Giuramento di Ippocrate, qualcun altro troppo caricaturale e gratuitamente volgarotto (Josh Gad, il fratello di Jaime) e la figura di Maggie che avrebbe meritato ulteriore approfondimento.
Entrambe però, non riescono a risolvere la dicotomia stilistica presente nel film, il quale inizialmente ci appare come una riuscita satira sul sistema farmaceutico americano, che asseconda la moda imperante delle compresse come panacea di ogni male, con sforzi degni di miglior causa (malattie come il Parkinson, per esempio), poi sembra virare verso la “vecchia” screwball comedy, ed infine nello strappalacrime alla Love Story, per quanto reso più lieve da un certo “cinismo pratico”, riuscendo in apparenza ad integrare il tutto in un corpo unico senza, purtroppo, sprigionare un minimo d’empatia, sia a livello di riso che di pianto, con gli spettatori.
Resta la “bella confezione”, la già detta valida prova attoriale e un valido assunto di fondo, forse banale, in base al quale possiamo certo continuare ad ingollare nuovi ritrovati, nella disperata ricerca di essere felici e sempre perfetti, pronti ad ogni situazione, ma riuscire ad essere se stessi, magari confortati da un amore sincero ed incondizionato, resterà sempre la migliore medicina.





Lascia un commento