Gentlemen Prefer Blondes è un opera per certi versi minore rispetto ad altre commedie di Howard Hawks, autore estremamente poliedrico, ma può sempre fare affidamento, oggi come ieri, oltre che sull’ estrema gradevolezza spettacolare, esaltata dalla fotografia in technicolor di Harry Wild, sul fare sardonico proprio del regista, il quale conferisce inedita connotazione al tema dell’amicizia femminile, all’epoca non particolarmente sfruttato, incrociandolo con la tematica a lui cara del “conflitto tra i sessi”.
Il risultato è un felice punto d’incontro tra divertissement, piglio autoriale e divismo allo stato puro, rappresentato dalle due splendide attrici Jane Russell, scomparsa il 28 febbraio scorso, e Marilyn Monroe: entrambe dotate di un fascino e di una presenza scenica tali da farle risultare convincenti anche con la semplice apparizione sullo schermo, offrono il meglio di sé, con brio elegante e vagamente ammiccante, cantando e ballando, affidando alla storia del cinema numeri musicali immortali, tanto da essere spesso oggetto d’imitazione o riferimento (Diamonds Are a Girl’s Best Friends su tutti, Bye Bye, baby…, Two Little Girls From Little Rock).
Loreley Lee (Monroe) e Dorothy Shaw (Russell), l’una bionda l’altra bruna, cantanti e ballerine, si imbarcano su una nave diretta in Francia: qui Loreley spera di poter convolare finalmente a nozze con il suo innamorato Gus Esmond (Tommy Noonan), lontano dal ricco padre di questi, che non vede di buon occhio la procace fanciulla, tanto da assumere un investigatore privato, Ernie Malone (Elliot Reid), perché ne segua le mosse durante il viaggio.
Dorothy appare più propensa a cercare l’amore in sé, mentre Loreley ad una sicura sistemazione economica e così se la prima trova appagamento nella visione dei componenti della squadra olimpionica presente a bordo e stringe amicizia con Ernie, la seconda civetta con Sir Francis Beekman (Charles Coburn), proprietario di una miniera di diamanti. Le avances del vecchio ganimede e il dono di un diadema appartenente alla moglie, saranno l’inizio di una serie di guai, sino all’inevitabile lieto fine.
Con una sceneggiatura (Charles Lederer) ovviamente plasmata sulle due protagoniste (dall’omonima commedia musicale, ’49, di Joseph Fields e Anita Loos, a sua volta ispirata al romanzo di quest’ultima, ’25, che già aveva dato vita ad un film nel ’28), tanto lieve da sfiorare l’inconsistenza, passando per un umorismo tutto sommato tradizionale ed eccentrità manieristiche, Hawks entra nel genere, il musical, sovvertendone i consueti canoni se non da un punto di vista propriamente formale comunque della narrazione in sé, visto che i vari numeri musicali ne fanno sì parte, ma senza esserne propriamente ed essenzialmente la struttura portante, ma dei quadri a sé stanti, che si alternano con il suo svolgimento.
Dando poi rilievo alle due donne, comunque ben delineate nelle rispettive psicologie, rispetto ai protagonisti maschili, scialbi ed insignificanti, ai quali si presentano, specie Loreley/Marilyn, come loro vogliono che siano, candidi stereotipi, per poi rivelarsi tutt’altro, il sopra citato conflitto dei sessi le vede alla fine vittoriose, riducendo noi maschietti a semplici burattini, destinati a scomparire letteralmente dalla scena.
Basti pensare al riguardo alla sequenza finale del matrimonio a quattro, quando l’inquadratura, sino alla sovraesposizione del classico The End, è tutta al femminile, caustica firma hawksiana. Illuminanti al riguardo le riflessioni di Veronica Pravadelli, pag.251-258, nel libro La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano (Marsilio Editore, 2007). Del ’55 è Gli uomini sposano le brune, una sorta di sequel, ancora tratto da un romanzo di Loos, regia di Richard Sale e sempre Russel protagonista.





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