
Quarta ed ultima parte delle pubblicazioni inerenti alle recensioni di alcuni cortometraggi visionati fra quelli proposti, in differenti sezioni, dal Garofano Rosso Film Festival, in corso di svolgimento dallo scorso 4 settembre a Forme di Massa d’Albe (AQ), per concludersi domenica 10, del quale Sunset Boulevard è media partner .
Sir, Sezione Wonderland, scritto e diretto da Maurizio Ravallese, ha come scenario una casa di campagna, dove vive Sir, scuoiatore di animali ma soprattutto “guaritore di anime”, attraverso l’esercizio di antichi rituali che vedono l’incontro tra religione e magia.
Una pratica sciamanica risolutrice dei mali di tante persone che si sono affidate a lui, ma non del malanno che affligge la moglie, con grave disappunto della figlia, che non manca di esternargli il suo astio, in particolare quando il padre adduce come scusante la possibile presenza di una maledizione, “perché ha fatto cose troppo brutte”. A risolvere la grave situazione sarà la nipotina Gaia, con un esorcismo di sua invenzione…
La fotografia di Vito Frangione avvolge la narrazione dei toni propri di una sorta di fiaba moderna, cupa ma volta alla luce, mentre la regia di Ravallese avalla con efficacia il mistero e il senso del fantastico, suggerendo più che mostrare platealmente.
Pone infatti metaforicamente fuori quadro quanto non può essere spiegato per il tramite della ragione neanche osservandolo direttamente, dai rituali magici (vengono velocemente inquadrati soltanto alcuni oggetti idonei allo scopo) al “miracolo” che avverrà nel finale, quando trionferà quell’innocenza primigenia propria dei bambini nel conferire inedito aspetto a ciò che li circonda e a quanti si trovino vicino a loro.
CrisTiano, Sezione Anteros, scritto e diretto da Adán Pichardo, si rivela alla visione come una realizzazione spigliata e divertente, incline a tratteggiare con ironia e un sano senso di leggerezza le delicate tematiche inerenti la vocazione religiosa, poste poi a contatto con quelle riguardanti il personale orientamento sessuale.
All’interno di un seminario cattolico, Avelino (Nacho Guerreros), prete “cool” come lui stesso si definisce, amante del rock e del ballo, ma anche degli spuntini a base di ostie, riceve nel suo studio il giovane Cristiano (Iván Vigara), cui deve convalidare la domanda di ammissione.
Vi è però da considerare un particolare non di poco conto, che farà vacillare l’ostentata modernità del prelato: il ragazzo non è quel bricconcello che il nostro ricorda di aver avuto al fianco come chierichetto anni addietro, bensì sua sorella, la devota Cristina…
Un onesto lavoro di scrittura, con una certa attenzione ai dialoghi, una regia agile e valorizzante le interpretazioni attoriali, coadiuvata da un montaggio serrato (Marta Barrios), in particolare nel rendere la battaglia a suon di versetti delle Sacre Scritture per sostenere le rispettive tesi (con tanto di partecipazione attiva da parte di un Crocefisso), rendono CrisTiano un corto godibile, per certi versi felicemente irriverente, tra bonarietà e riflessione.
Human Trash, Sezione Dystopia, diretto da Aitor Almuedo Esteban, anche autore della sceneggiatura insieme al fratello Francisco Javer Almuedo, combina i generi horror e sci-fi per condurci all’interno di un futuro distopico attraverso il personaggio di Irvin (Guillermo Llansó), il quale si risveglia all’interno di un compattatore di rifiuti, senza riuscire a capire il perché si trovi lì.
Il pensiero precipuo è, ovviamente, quello di come uscirne fuori, prima di fare una brutta fine. All’improvviso gli si para davanti un altro uomo (Karlos Aurrekoetxea), sguardo allucinato e tutta una serie di marchingegni sparsi lungo il corpo, pronto a spiegargli come lui sia un “A38”, uno dei tanti cyborg che, una volta divenuti inservibili o aver compiuto azioni non consone alla loro programmazione, vengono gettati via…
Inquietante raffigurazione, esaltata dallo spazio chiuso in cui si svolge l’azione e dalla fotografia “sporca” e livida (Israel Seoane), di un futuro, ci si augura lontano, dove l’essere umano è stato robotizzato, quando non sostituito da un simulacro robotico, trattato alla stregua di una qualsiasi merce di consumo, Human Trash si rivela piuttosto efficace nel rendere la metafora di un’alienazione conseguente alla perdita di ogni tipo di valori, fino alla totale spersonalizzazione, ma, forse, personale sensazione, avrebbe meritato un finale maggiormente delineato.
Ghuzou Story-Lilly’s Land, sezione Frontiers, scritto e diretto da Yun Zhu, trae ispirazione da un leggendario racconto cinese che narra l’amore tra le stelle Vega e Altair, separate dalla Via Lattea, riconducendo poi il sentore fiabesco a contatto col mondo reale, all’interno del villaggio Dong, Qui vive una giovane straniera, Lilly, insieme ai suoi due figli.
Il marito è lontano, lavora in città e dovrebbe fare ritorno per la Festa di Primavera (il Capodanno Cinese). La macchina da presa, con sensibilità e un certo pudore poetico, riprende la quotidianità della donna, i contatti con gli abitanti del villaggio, i lavori da svolgere, l’accudimento dei figli, gli spostamenti in autobus per andare a trovare i parenti, restituendo al nostro sguardo l’immediatezza degli accadimenti.
Una sorta di presa diretta dalla consistenza documentaristica, in particolare nell’assecondare, cadenzandolo, lo scorrere dei giorni all’interno della comunità, con frequenti inquadrature sull’ambiente circostante e le varie attività in corso di svolgimento.
Si riesce così a rimarcare, “pedinando” Lilly e riprendendone ogni sguardo o gesto, la sua solitudine ma anche la sua fermezza nell’adoperarsi per provvedere ai suoi figli ancora prima che a se stessa.
Di rilievo il passaggio al bianco e nero verso il finale, quando un messaggio del marito annuncia che non farà ritorno per la citata Festa della Primavera, ma qualche giorno dopo, a rimarcare, credo, l’oggettività della situazione in cui versa Lilly, in attesa di quel ponte che riunisca le due stelle distanti.





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