(Ufficio Stampa)

Sri Lanka, oggi. Amila (Akalanka Prabashwara), 19 anni, dopo la morte della madre lascia il paese natio per recarsi a Colombo insieme ai suoi quattro fratelli, due maschi e due femmine, di età variabile tra uno e quattordici anni. La sorella Inoka (Maheesha Nethara) è affetta da una grave malformazione cardiaca, necessita di cure costanti e medicine specifiche, per cui viene ricoverata in ospedale, in attesa di un risolutivo intervento chirurgico da eseguirsi in India.

Il ragazzo ha rinvenuto una sistemazione per sé e i suoi cari all’interno di un costruendo edificio, si prodiga nel lavorare come manovale, ma i soldi della paga non sono sufficienti per l’acquisto del costoso farmaco necessario ad Inoka, tanto da spingerlo al furto di una borsa.

Verrà poi notato dalla signora Malani (Sabeetha Perera), che lo coinvolgerà nella sua attività, non certo lecita, considerando come ospiti, in una struttura adibita all’interno della propria abitazione, giovani donne in attesa, offra loro l’assistenza necessaria al parto, per poi vendere i neonati ad europei facoltosi, che intendono evitare le trafile legali necessarie all’adozione.

Akalanka Prabashwara (Ufficio Stampa)

Disperato per l’assegnazione dei fratelli ai servizi sociali, una volta sorpresi dalla polizia a chiedere l’elemosina all’interno della stazione ferroviaria, Amila accetterà suo malgrado l’ingrato compito di guidare il furgone, opportunatamente truccato da trasporto merci, in cui vengono nascoste le partorienti che andranno a dimorare nella citata struttura.

D’altronde Malani gli fornisce vitto e alloggio, ha provveduto ad oliare i giusti ingranaggi per ottenere il passaporto necessario a recarsi in India, per cui, nonostante un momento di ribellione una volta conosciuta la poco più grande Nadee (Dinara Punchihewa), anche lei costretta a cedere il suo bambino subito dopo il parto, si impegnerà ad eseguire il lavoro affidatogli, fino a quando…

Il canto del pavone, produzione Italia- Sri Lanka (Pilgrim Film, che si occupa anche della distribuzione, a partire dal 19 ottobre, e Sapushpa Expression), vincitore del premio Best Artistic Contribution al 35mo Tokyo International Film Festival, vede adoperarsi per regia e sceneggiatura Sanjeewa Pushpakumara, il quale, attingendo dai propri ricordi di vita e con il fondamentale e sinergico apporto di  Sisikirana Paranavithana alla fotografia, vivida e aderente al reale, ha messo in scena un’opera rigorosa ed essenziale, sia riguardo l’ambito visivo, sia quello contenutistico.

La scabra composizione delle inquadrature e la presa di distanza da toni pietistici, consolatori o, ancora peggio, giudicanti, riporta il cinema alla sua essenzialità rappresentativa e costringe noi spettatori a fare i conti con una morale che non si nutra di ipocrisie o buonismi di circostanza, sbattendoci in faccia quanto quotidianamente accade in determinate parti del mondo, quando non all’interno della nostra quotidianità.

Sotto l’esteriore luccichio di un progresso nato sotto l’egida di lucrosi affari, si cela infatti la colpevole disattenzione verso quell’urlo potente, del tutto assimilabile a quello emesso dal pavone in amore per attirare le femmine della sua specie, esternato da quanti vivono ai limiti dell’indigenza, tra diritti negati e sopraffazioni, anche bambini e giovani, costretti a divenire adulti anzitempo nel fare affidamento su un primordiale istinto di sopravvivenza, che li spinge spesso, abbandonati a se stessi, ad azioni riprovevoli.

Pushpakumara lavora per sottrazione e intercalare d’immagini, ricorrendo ad inquadrature strette, macchina da presa fissa e riprese frontali, metafora per l’appunto delle condizioni in cui si trovano a vivere i protagonisti, avulsi dal contesto circostante di un omologato benessere, nell’accettare, all’interno di un vero e proprio mondo a parte, quelle regole imposte da chi, complice l’inerzia del sistema, riesce a gestire, illegalmente, una posizione di supremazia.

Sabeetha Perera (Ufficio Stampa)

Considerando la disgregazione silente  di qualsiasi valore umano cui fare riferimento, si è di fronte a una lotta forse senza fine, che richiederà sempre nuove vittime sacrificali,  dove le due entità di bene e male si rivelano aduse a confondere o sovrapporre i rispettivi confini, fino ad assumere contorni ambigui ed indefiniti. In aderenza alla sua valenza precipua di apologo morale, Il canto del pavone lascia comunque aperta la porta alla speranza, disseminando tracce di una ritrovata umanità nel succedersi tragico degli eventi, fino a delineare la possibilità di un mondo diverso, lontano dalle lusinghe di un impositivo modernismo, inteso a riallacciare i contatti con la propria dimensione spiritualmente più pura, un ritrovato senso di adorazione verso tutto ciò che ci circonda e ci sovrasta, il quale sottintende fiducia ed affidamento all’Assoluto.

Una volta ritrovata la consapevolezza della propria primigenia essenza nel rapporto con sé e con quanti ci sono vicino, si potrà giungere ad una presa di coscienza idonea ad adattarla, anche a prezzo di qualche sacrificio, all’esistenza che si è liberamente scelto di vivere.

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