
Topolinia, 1977. Da qualche giorno Topolino è preoccupato per il suo amico Pippo, incline ad un comportamento più “particolare” del solito: mentre assistono ad un quiz televisivo anticipa una risposta, esatta, prevede lo scoppio della cucina, rimane impassibile quando un automobile, nel momento in cui sta per investirlo in pieno, devia dall’obiettivo, andando a sbattere contro un cartello stradale in seguito allo scoppio di uno pneumatico ed infine vince una grossa somma alle corse dei cavalli, esternando sprezzante alterigia.
Il tutto, a suo dire, grazie alle dritte che gli sono state suggerite in sogno da tale professor Dingleberry. L’innata curiosità che gli è propria spinge il “roditore” ad accertarsi se esista davvero una persona con tale nome e potrà appurarlo grazie alla guida telefonica. Prenderà quindi appuntamento con la consorte del professore, così da incontrarsi nella tetra magione abitata dalla donna, ereditata dal bisnonno, ed apprendere come il luminare, al quale il governo aveva affidato un importante progetto segreto di difesa, sia scomparso da dieci anni, dopo averle lasciato un laconico messaggio.
Deciso a vederci chiaro, il nostro si reca dal Commissario Basettoni, che però appare piuttosto imbarazzato nell’udire il nome Dingleberry, per poi incaricare l’agente segreto Flint di mettere momentaneamente fuori gioco l’impiccione.

Per una mera casualità Topolino scamperà però all’agguato, ricevendo per il tramite del Commissario, dopo i dovuti chiarimenti, l’incarico del governo d’indagare sulla misteriosa sparizione, avvenuta in quella zona nota come “triangolo delle Bermude”, dove aerei e navi svaniscono improvvisamente all’occhio umano e dagli schermi dei radar.
A suo fianco l’immancabile Pippo, già reso edotto da Dingleberry col solito metodo onirico, mentre, una volta in volo, a bordo si paleserà una vecchia conoscenza, che ha interrotto il pisolino nella sua caverna…
Per ricordare il geniale e vulcanico Alfredo Castelli, fumettista e critico letterario, che ci ha lasciato lo scorso mercoledì, 7 febbraio, ho scelto di buttar giù un articolo sull’unica storia da lui scritta con protagonista Mickey Mouse, per i disegni di Massimo De Vita, Topolino e il triangolo delle Bermude, pubblicata nel 1977 in due puntate sul settimanale Topolino (n. 1128 del 10 luglio e n. 1129 del 17 luglio).
Una scelta motivata dal fatto che, almeno a mio parere, la storia in questione ne rivela in primo luogo il profondo afflato filologico, dando vita ad una narrazione che, coniugando felicemente senso del mistero, tra giallo e fantascienza, ironia e attenta caratterizzazione tanto dei personaggi principali che di quelli secondari, si riallaccia alle classiche storie col topo nate per le strisce giornaliere dalla fervida mente dell’altrettanto geniale Floyd Gottfredson, in un periodo compreso tra l’inizio degli anni Trenta e la fine degli anni Settanta.
Ecco allora un Pippo in gran spolvero, la cui rappresentazione rende giustizia alla sua primaria indole d’imperturbabile Candide, tutto è plausibile in virtù della sua logica “non ordinaria”, mentre per Topolino ogni deviazione dalla quotidianità va a costituire un congruo indizio per dare vita a tutta una serie di riflessioni e successive indagini, così da individuare un inedito mistero da risolvere, aderendo ad un’indomita curiosità e all’ardore volto a sempre nuove conoscenze.
Un po’ come quel “detective dell’impossibile”, ovvero Martin Mystère, creato da Castelli nel 1982 per la Sergio Bonelli Editore, reso graficamente da Giancarlo Alessandrini, un parallelo tra le due figure già rimarcato dal compianto Luca Boschi in un articolo che andava a corredare la pubblicazione della storia sul n. 13 de I Maestri Disney (12 gennaio 1999).
E poi vi è la grande sorpresa (spoiler) del ritorno dell’ “uomo del futuro”, l’Eega Beva (Eta Beta nel nostro idioma), ideato da Bill Walsh e Gottfredson (Mickey Mouse and the Man of Tomorrow, 22 settembre-27 dicembre 1947; Topolino e l’uomo del 2000, Topolino libretto, Mondadori, 1949, dal n.1 al n.5), inizialmente nascosto sotto le vesti di un oscuro manovratore e in seguito risolutivo Deus ex machina nel condurre la narrazione verso la visualizzazione di un “altro mondo”.
Trattasi del regno di Stellario, nell’anno Cinquemila, “il più felice del sistema planetario”, retto da un sovrano-despota (“preferisco prevenire il crimine, piuttosto che attendere che venga commesso”), riuscita messa alla berlina di tanti dittatori reali, la cui avvenente figlia Lunella andrà ad invaghirsi non dell’intrepido eroe, come da consuetudine letteraria e cinematografica, bensì di quella “bellissima creatura” che va sotto il nome di Pippo…
Indimenticabile poi la resa, anche figurativa grazie alla plasticità dinamica dei disegni di Massimo De Vita, dei personaggi secondari, in particolare quella del professore Dingleberry, tra genialità ed una sorta di disincanto ironico (“L’idea di scomparire non mi dispiaceva. Già, ma voi non conoscete mia moglie…”, rivolto al topo, che di rimando risponderà “Conosco, conosco…”).
Castelli nel dare una sua personale interpretazione del “triangolo della morte”, l’esistenza di un muro temporale che divide presente e futuro, deviando, ad esempio, dalle prospettive di interventi alieni (come si evince nel film Close Encounters of the Third Kind, Steven Spielberg, 1977) per giustificare le varie sparizioni di cui si iniziò a dare notizia già dal 1950, ci offre quindi una storia del tutto godibile ancora oggi, sia per quanti dovessero leggerla per la prima volta, sia per chi, come lo scrivente, l’ha letta e riletta, restandone sempre piacevolmente coinvolto, tra divertimento e fascinazione.
In chiusura, ricordando come Castelli in ambito Disney realizzò anche due storie che vedevano protagonista il “mondo dei paperi”, Paperino e le delizie del mare (Almanacco Topolino n. 181, Gennaio 1972, disegni di Giuseppe Perego) e Paperino e il “metodo” di Zio Paperone (Topolino n.1069, 1976, disegni di Massimo de Vita), riallacciandosi, in nome di quell’amore filologico di cui si è scritto nel corso dell’articolo, all’opera di Carl Barks, in particolare nel secondo titolo, esterno il mio sentito e commosso grazie ad un autore che ha saputo incrementare il nostro senso immaginifico prendendoci per mano nel condurci verso “differenti universi”, rendendo, come tradizione vuole, il viaggio, le sensazioni provate lungo il percorso, qualcosa di più importante del raggiungimento della meta.
Ecco allora che la fantasia va ad assumere la consistenza propria dell’unica speranza possibile per poter volgere verso una esistenza diversa, mai omologata né omologante, all’insegna dell’incanto perduto, quello che ancora risiede nella parte più intima del nostro cuore, rappresentato dal fanciullino di pascoliana memoria, aduso a farci riscoprire sensazioni ormai dimenticate, da condividere, possibilmente, con quanti ci sono vicini, i nostri figli innanzitutto, mantenendo la giusta distanza da una spesso arida digitalizzazione, per quanto benvenuta e necessaria ove portatrice di un progresso non solo materiale.






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