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New York, anni ’90. Lawrence Garfield (Danny DeVito), meglio noto nell’ambiente finanziario come Larry the Liquidator, spregiudicato e cinico raider aziendale, ha costruito la sua fortuna con l’acquisizione di aziende in difficoltà, spesso causa obsolescenza degli impianti, e la svendita dei loro beni. L’unico e dichiarato amore del nostro sono infatti i soldi, capaci, a suo dire, di accettarti senza condizione alcuna, al pari dei cani e delle ciambelle, con il merito però di non sporcare in salotto o farti ingrassare.

Vi è però una cosa che Larry ama più dei soldi, ovvero i soldi degli altri. Quando Carmen, fidato sistema computerizzato che analizza quotidianamente il mercato azionario, individua la New England Wire & Cable Company quale papabile obiettivo, Larry si reca nella sede a Rhode Island, esternando al proprietario Andrew Jorgy Jorgenson (Gregory Peck) e al presidente Bill Coles (Dean Jones), l’intenzione di rilevare l’azienda.

Jorgy però non intende far sì che uno squallido arrampicatore sociale possa mettere le mani su quanto creato da suo padre, che per di più offre sostentamento a tante famiglie, per cui mira a bloccare, attraverso le vie legali, la manovra di Larry, accettando infine che della questione se ne occupi la figliastra Kate (Penelope Ann Miller), nota avvocatessa, come suggerito dalla seconda moglie Bea (Piper Laurie ), così da mettere in atto tutta una serie di strategie volte ad impedire le manovre di Larry, che intende acquistare la maggioranza azionaria della società.

Un colpo su colpo che non esclude comunque una reciproca attrazione, esternata ruvidamente e senza andare troppo per il sottile dal tycoon e più sottintesa da parte di Kate, che sembra individuare nell’uomo una velata sensibilità, che non gli impedirà comunque di aderire alla nota massima “business is business”…

Per ricordare il regista Norman Jewison, che ci ha lasciato lo scorso 20 gennaio (Toronto, 1926), autore piuttosto poliedrico nel cavalcare vari generi e connotarli con tocchi personali riguardo le scelte registiche, non dimenticando mai l’impegno civile nel dare adito a determinate tematiche sociali, ho scelto di scrivere di un film forse non tra i suoi più noti e di successo, Other People’s Money, che lo sceneggiatore Alvin Sargent andò ad adattare dall’omonima opera teatrale del 1989 di Jerry Sterner.

Una realizzazione considerata come “minore” all’interno della filmografia di Jewison, ricordata soprattutto per contenere una delle ultime interpretazioni di  Gregory Peck, che però ad avviso di chi scrive riesce a porre validamente in scena una lucida satira, acre e senza sconti “buonisti”, del sistema capitalistico americano, ormai dominato dal desiderio di profitto fine a se stesso, fare soldi per accumularne altri, in estrema sintesi, certo distante anni luce da quello originario, volto, almeno nelle intenzioni, ad un benessere non solo del singolo ma anche della collettività.

Una contrapposizione tra antichi retaggi e rampantismo moderno cui offrono vivida tangibilità le ottime interpretazioni di Gregory Peck e Danny DeVito. L’uno rende l’immedesimativa incarnazione del classico idealista da american dream nella sua accezione più pura e semplice, ovvero la capacità di fare leva sulle personali aspirazioni per dar vita ed aspettativa concreta alle proprie speranze, suggerendo la possibilità di una esistenza diversa se non migliore, mitigando l’individualismo con la solidarietà sociale, nella comprensione e condivisione di determinati ideali dal sapore “antico”.

L’altro è invece la nitida effige dei “tempi nuovi”, sorta di ibrido connubio, ad esempio, tra il Gordon Gekko (Michael Douglas) di Wall Street (Oliver Stone, 1987) e l’Edward Lewis di Pretty Woman (Garry Marshall, 1990). Un individuo intento ad accumulare ricchezza quale forma di ricercato ridimensionamento sociale, rimediando alla deficitaria insicurezza esistenziale, la difficoltà evidente a manifestare i propri sentimenti, con la risolutezza garantita dall’ingente patrimonio finanziario.

Nell’evidente attenzione di Jewison verso le interpretazioni attoriali, appare piuttosto ben delineato il personaggio femminile dell’avvocatessa Kate, cui Penelope Ann Miller offre una convincente mescolanza di fascino e determinazione, nonché una certa spregiudicatezza, anche sentimentale.

Una rappresentazione che prende inoltre le distanze dallo stereotipo della donna incline a cedere al fascino di un uomo “naturalmente” attraente, intuendo piuttosto quella emotività che Larry nasconde dietro il paravento del freddo calcolo opportunistico, quest’ultimo inteso sempre e comunque alla salvaguardia del proprio gruzzolo.

Scrittura e regia sembrano andare di pari passo nell’avallare incisività realistica e brillantezza, i dialoghi appaiono piuttosto ironici, taglienti, allusivi riguardo la sessualità (riecheggiando le commedie hollywoodiane d’epoca) e si riesce ad offrire spazio anche a personaggi secondari, quali il Bill Coles di Dean Jones e la Bea di Piper Laurie, certo funzionali nell’evidenziare l’impiego del danaro quale efficace ed ormai indispensabile merce di scambio, rispettivamente in nome di fini egoistici ed altruistici.

Il finale è sempre stato oggetto di critiche: per molti, nell’ambito di una messa in scena che, come scritto, va a rappresentare  una spietata rincorsa al profitto ed una vittoria della rapacità umana, andrebbe ad apparire inutilmente romantico e mieloso.

A parere mio, invece, quello sguardo compiacente di Larry dopo la telefonata di Kate che gli ha comunicato del voler discutere a colazione di una possibile riconversione della New England Wire & Cable Company ad opera di una compagnia giapponese, è quanto mai ambiguo, rivelando piuttosto un sentimento “equamente” diviso tra la materialità degli inediti guadagni che si prospettano e la possibilità di conquistare Kate.

Il suo è un “cuore d’oro”, perché un riccastro come lui non potrebbe certo averlo di alcun altro materiale, citando in chiusura il buon vecchio Scrooge McDuck di barksiana memoria.

Pubblicato su Diari di Cineclub N. 126-Aprile 2024In copertina (immagine da IMDb): Gregory Peck, Danny DeVito e Penelope Ann Miller

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