
Italia, 1993. La restauratrice d’arte americana Lisa Gray (Lauren LaVera) sta raggiungendo in autobus un piccolo paese in provincia di Tivoli, Sambuci. Qui, facendo le veci del padre, l’attende il suo primo importante lavoro, commissionato dalla duchessa Emma Fosca Malvisi (Claudia Gerini), restaurare un dipinto del 1500 che si trova in una stanza dell’antica magione, annerito dal fumo di un incendio propagatasi dal fuoco del camino sottostante. L’opera è attribuita a tale Arcano, “artista non molto conosciuto ma venerato dagli intenditori per il suo modo innovativo di dipingere l’ignoto”, come spiega a Lisa la nobildonna, precisando poi che il restauro dovrà essere eseguito tassativamente entro due settimane, così da poter partecipare ad un’ asta esclusiva che si terrà a Londra.
Mano a mano che i lavori procederanno, ed ogni particolare del dipinto verrà gradualmente svelato, si verificheranno però degli episodi inquietanti: infatti Lisa, feritasi ad un dito con un taglierino e dopo che gli schizzi di sangue si saranno riversati sulla tela, andrà incontro a tutta una serie d’inquietanti incubi, riguardanti orribili situazioni in cui versano il padre e una comitiva di amici che aveva conosciuto durante il viaggio in autobus, oltre che lei stessa, perseguitata da un orrendo mostro che vorrebbe strangolarla. A quanto le rivela Giulia (Linda Zampaglione), la problematica adolescente figlia della duchessa, il dipinto sarebbe maledetto, e il male vivrebbe da sempre in quella casa, per cui sarebbe meglio fuggire, finché possibile…

Diretto da Federico Zampaglione, anche autore della sceneggiatura insieme a Stefano Masi, The Well, in uscita nelle nostre sale dall’1 agosto (col divieto ai minori di anni 18), evidenzia sia il profondo amore che l’autore manifesta nei confronti del genere horror, con più di uno slancio “devozionale” verso registi come, tra gli altri, Mario Bava, Dario Argento, Lucio Fulci, Riccardo Freda, John Carpenter, sia la sua indubbia capacità di “rimasticarne” gli stilemi e proporli in una chiave, narrativa e visiva, del tutto personale. Zampaglione riesce infatti a creare tanto un’atmosfera suggestiva e sottilmente inquietante, quanto un naturale raccapriccio nell’esplicitazione di determinati accadimenti, coniugando, personale sensazione, il senso dell’ immaginifico, del soprannaturale, con la quotidianità.
Quanto messo in scena, ottimamente coadiuvato sotto l’aspetto tecnico dalla fotografia brumosa di Andrea Arnone e dall’effettistica curata da Carlo Diamantini, che tanto richiama quella genuina mescolanza tra creatività e artigianalità propria di certe nostre passate produzioni, senza dimenticare le valide interpretazioni attoriali e la colonna sonora, è un horror dalla limpida scorrevolezza narrativa, inteso a rivendicarne quell’originaria essenzialità e crudezza che lo hanno caratterizzato almeno fino agli inizi degli anni ’90, soppiantate poi, tranne qualche felice eccezione, da reiterazioni omologanti ed esangui annacquamenti.

Mi ha particolarmente colpito nel corso della visione il parallelismo posto in essere da Zampaglione nell’ offrire adito a due diverse visioni orrorifiche, sostenuto da un efficace lavoro di montaggio (Eric Strand): se nelle stanze del palazzo avito si respira un’aria gotica densa di suspense, dove la presenza del male è suggerita, avvertibile in particolare dall’atteggiamento ambiguo e misterioso dei suoi abitanti e suscitata gradualmente dalle varie sensazioni avvertite da Lisa, un percorso onirico che lambisce i confini tra problematiche psicologiche (il confronto con la figura paterna, Giovanni Lombardo Radice, al suo ultimo ruolo prima della scomparsa) e l’influenza subita dal racconto di Giulia, nei sotterranei ecco palesarsi in tutta la sua tragicità l’orribile segreto, con un inquietante orco (Lorenzo Renzi) messo a guardia di un pozzo oscuro dove risiede una terrificante creatura assetata di sangue.
In queste sequenze si palesa lo splatter nudo e crudo, senza sconti, con una reiterazione intesa a creare sgomento e turbamento allo sguardo degli spettatori, il tutto esplicitato in primo piano, senza alcuna dissolvenza di sorta. Nel finale le due diverse realtà appaiono propense a riunirsi in un unico afflato dal sentore fantastico, con echi del wildiano The Picture of Dorian Gray e de I vampiri diretto dal citato Freda nel 1957, come forse già notato da molti, per poi regalarci una sarcastica appendice ambientata ai giorni nostri, evidenziando come nella realtà odierna intuire cosa sia propriamente mostruoso è certo impresa ardua, se non, probabilmente, impossibile.

Il vostro amichevole cinefilo di quartiere consiglia la visione di questo horror ruspante e accattivante, gli appassionati del genere potranno divertirsi nell’individuare i riferimenti a passate produzioni, italiche in particolare, anche se il mio precipuo suggerimento è di lasciarsi coinvolgere dalla narrazione, così da apprezzare la genialità e versatilità di Zampaglione nel cogliere quella primigenia essenzialità visiva capace di suscitare emozione, spavento o semplice stupore, prendendo il via da felici intuizioni, messe in scena facendo tesoro tanto delle valide idee espresse nella sceneggiatura, quanto dei mezzi a disposizione. ( Immagini fornite da Ufficio Stampa)





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