
Titolo di apertura, in concorso, sezione Progressive Cinema, della 19ma Festa del Cinema di Roma, dove il protagonista, Elio Germano, ha conseguito il Premio Vittorio Gassman come Miglior Attore, Berlinguer. La grande ambizione, scritto, insieme a Marco Pettenello, e diretto da Andrea Segre, circoscrive la narrazione all’interno di un arco temporale che va dal 1973 al 1978 (con un’appendice relativa ai funerali di Enrico Berlinguer, 13 giugno 1984). Va a toccare tappe salienti inerenti la storia mondiale, a partire dal golpe cileno (11 settembre 1973) che destituì il presidente Salvador Allende, sostituendo il governo democraticamente eletto con una giunta militare guidata da Pinochet, storia personale, come lo scampato attentato a Sofia (3 ottobre 1973) o il confronto con Leonid Brežnev (Nikolay Danchev) riguardo il progressivo allontanamento del Partito Comunista Italiano, anche finanziario, dal regime sovietico, e, infine, storia nazionale.
Spazio dunque, a tale ultimo riguardo, alle campagne elettorali, al referendum sul divorzio, agli attentati contro uomini e strutture simbolo, a minare l’unità del Paese, al tentativo di dare vita ad un socialismo nella democrazia, inteso ad annientare le diseguaglianze preservando sempre la garanzia di tutte le libertà, tanto da un punto di vista economico che culturale, fino a giungere ad un passo dal compromesso storico, l’alleanza governativa con il partito della Democrazia Cristiana presieduto da Aldo Moro (Roberto Citran), morta sul nascere in seguito al rapimento ed uccisione di quest’ultimo ad opera delle Brigate Rosse. Sui vari rami delle vicende storiche, sociali e politiche va poi ad innestarsi la vita privata di Berlinguer, i momenti in famiglia con la moglie e i quattro figli, così come quella pubblica.

Quest’ultima vede il segretario del PCI, partito forte negli anni ’70 di un milione e settecentomila iscritti e più di dodici milioni di elettori, muoversi agevolmente tra la folla, ora ascoltando, ora condividendo le varie posizioni, con la mediazione di un approccio serio e sobrio al contempo. Caratterizzata da una pregevole sinergia tra regia, montaggio (Jacopo Quadri) e colonna sonora (iosonouncane, pseudonimo di Jacopo Incani), la narrazione vede un riuscito congiungimento tra preziosi materiali d’archivio e ricostruzione della messa in scena nell’offrire un preciso ritratto della politica del tempo, già delineato dalla didascalia iniziale che riporta una emblematica frase di Antonio Gramsci: Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è indissolubile dal bene collettivo.
Una politica che sapeva guardare ai bisogni della gente, quel popolo, ancora tale, che dopo l’inebriamento del boom economico degli anni ’60 vedeva vacillare diritti e garanzie inerenti ad una esistenza dignitosa, al di là del mero possesso dei beni di consumo. Il tutto in nome di un’eguaglianza rispettosa della diversificazione propria della libertà individuale, mantenendosi all’interno del contesto sociale e non smarcandosi da esso. Berlinguer. La grande ambizione rifugge fortunatamente dal film biografico propriamente detto, come evidenziato anche dalle interpretazioni attoriali, un magnifico Germano in testa, che puntano non tanto, o non solo, sulla verosimiglianza fisica, ma piuttosto ad evidenziare l’emotività morale ed umana dei personaggi, le loro modalità di porsi di fronte ai vari accadimenti, sottintendendo determinate psicologie inerenti al potere (il sinistro machiavellismo di Andreotti, ad esempio, o l’ingerenza degli Stati Uniti).

Segre non intende, personale sensazione, idealizzare o porre sugli altari “in odore di santità” il principale protagonista, né riportare indietro nel tempo il tuttora imperante scontro ideologico (per esempio, si parla di fascisti, ma la figura di Almirante è del tutto assente), bensì, didascalicamente o, meglio, didatticamente, dare visualizzazione ad un determinato periodo storico nella sua portata universale e nazionale, quando, riprendendo quanto su scritto, era del tutto vivida un’idea di politica collegabile alla sua originaria etimologia. Ovvero, Enciclopedia Treccani alla mano, l’aggettivo greco πολιτικός, a sua volta derivato da πόλις, città, il termine in uso per designare ciò che appartiene alla dimensione della vita comune, dunque allo Stato (πόλις) e al cittadino (πολίτης).
Qualcosa di inerente ad ogni aspetto dell’umana esistenza, dove oggi si assiste, invece, al progressivo distacco tra istituzioni e cittadini, fino a raffigurare un tragicomico gioco di specchi. Una politica ormai bignamizzata in slogan pronto uso, tra studiate frasi acchiappa like e personificazione divisiva, a rimarcare un gretto egoismo orfano di qualsiasi riferimento sociale e morale, quel marciume di cui si è colpevolmente assecondata l’evoluzione, tutti indistintamente e placidamente integrati in un sistema volto ad uniformare ogni cosa, servendosi del collante dell’apparenza sfrontata, fra vuoto e volgarità, e per di più nell’irrisolta dicotomia comportamentale tra condanna da bravi benpensanti e forte attrazione per tutto ciò che rientri nell’idea di potere. (Immagine di copertina: Movieplayer foto Vivo Film, Jolefilm, Tarantula, Agitprop©)
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“L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un’originale società socialista. Ecco perché la nostra lotta unitaria (che cerca costantemente l’intesa con altre forze d’ispirazione socialista e cristiana in Italia e in Europa occidentale) è rivolta a realizzare una società nuova – socialista – che garantisca tutte le libertà personali e collettive, civili e religiose, il carattere non ideologico dello Stato, la possibilità dell’esistenza di diversi partiti, il pluralismo della vita sociale, culturale, ideale”. (stralcio del discorso di Enrico Berlinguer a Mosca, nel corso delle celebrazioni per il 60mo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre).





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