
Gulf City, Stati Uniti d’America, 1946. Ferito e con la polizia alle calcagna, Warren Rip Murdock (Humphrey Bogart), capitano dei paracadutisti reduce dal II Conflitto, si rifugia all’interno di una chiesa. Qui riconosce Padre Logan (James Bell), anche lui con dei trascorsi da paracadutista, cui spiega quanto sia urgente parlare con qualcuno di ciò che gli è accaduto negli ultimi giorni, di come intendano farlo fuori, precisando che ha agito per salvare l’onore del suo caro amico Johnny Drake (William Prince), compagno d’armi, col grado di sergente. Eccolo allora raccontare di quando ambedue ricevettero l’ordine di recarsi da Parigi, dove si trovavano ricoverati in ospedale, a Washington D. C., a bordo di un bombardiere che li vedeva unici passeggeri.

Inoltre all’arrivo non vi era ad attenderli il Corpo Medico, bensì il colonnello del Corpo Combattenti e il motivo andavano a scoprirlo da lì a poco: i due avrebbero dovuto ricevere delle onorificenze, per l’eroismo dimostrato in battaglia, ma Drake si diede alla fuga prima che i giornalisti lo potessero fotografare. Warren, insospettito, iniziava quindi ad indagare, fino a scoprire che il commilitone si era arruolato sotto falso nome, così da sfuggire all’arresto, essendo accusato dell’omicidio di tale Chandler, milionario avanti con gli anni, della cui moglie, Coral (Lizabeth Scott), era innamorato.

Appreso della morte di Johnny, carbonizzato in un incidente d’auto, il nostro si prodigava per fare luce sulla vicenda, tutta una serie di accadimenti che portavano al proprietario di un locale notturno, Martinelli (Morris Carnovsky), fino a coinvolgere la citata Coral, al cui fascino, lui, solitamente diffidente nei riguardi delle donne, finiva per cedere… Dead Reckoning (preferisco usare il titolo originale in luogo di quello “ecclesiastico” scelto per la distribuzione italiana, frase che ritorna arbitrariamente anche sul finale, nel dialogo tra Rip e Coral), diretto da John Cromwell su sceneggiatura di Steve Fischer ed Oliver H. P. Garrett, rientra tra i titoli meno celebrati della filmografia di Bogart, sicuramente inferiore ad altri noir che lo hanno visto protagonista, capolavori conclamati quali The Maltese Falcon (John Huston, 1941) o The Big Sleep (Howard Hawks,1946).

Comunque, pur nell’evidenza di una scrittura un po’ in affanno nell’ambito di alcuni passaggi, che possono apparire contorti oppure risultare oscuri ed un’alchimia non propriamente al fulmicotone tra il granitico Bogey e la pur ammaliante Lizabeth Scott, neanche lontanamente paragonabile alla tattile sensualità di cui trasuda il citato The Big Sleep, la pellicola si offre alla visione come una realizzazione sì minore ma non per questo priva di un certo fascino. Merito di una valida fotografia in bianco e nero (Leo Tover), incline a rendere espressivamente il classico dualismo ombra/luce, anche metaforico, e di una regia attenta e diligente, in particolare nel conferire idoneo risalto alle valide interpretazioni attoriali.

Distribuito dalla Columbia Pictures, Dead Reckoning, a quanto si apprende da varie fonti, avrebbe dovuto avere come protagonista femminile Rita Hayworth, ma l’attrice rifiutò causa un diverbio contrattuale, per cui le subentrò Lizabeth Scott, “prestata” dalla Paramount, dove il produttore indipendente Hal Wallis l’aveva “plasmata” in contrapposizione alla Bacall. Se quest’ultima s’impose come The Look, la rivale si guadagnò un soprannome adatto alla bisogna, The Treat (la minaccia). Una volta che Bogart venne momentaneamente ceduto dalla Warner Bros., gli venne data ampia libertà di scelta riguardo il regista, che venne quindi individuato in Cromwell, il quale aveva aiutato l’attore a debuttare in teatro, negli anni Venti.
Riguardo invece il soggetto, “tra il solito mucchio di roba che la casa di produzione teneva a portata di mano per vedere se riusciva a rifilarla a qualcuno”, Cromwell scelse “quello, che era rivoltante”, pur avvertendo “che se ne poteva ricavare fuori qualcosa” (Caro Bogart – Una biografia, Jonathan Coe, Superfeltrinelli, 2004; Titolo originale: Humphrey Bogart Take It & Like It, 1991). Si trattava del copione di Fisher e Garrett, basato su un racconto di Gerald Drayson Adams, adattato da Allen Rivkin.

Con elementi narrativi che, come notato dai critici dell’epoca, possono ricordare film quali Double Indemnity (Billy Wilder, 1944), il racconto via flashback ad esempio, o The Maltese Falcon, in primo luogo la pervicacia espressa nel ricercare la verità per preservare la memoria di un amico, Dead Reckoning si regge precipuamente sulle spalle di Bogart, sempre a suo agio nei panni, tra il dolente e il disilluso, di un individuo cinico, sprezzante, sarcastico, profondamente misogino (la donna ideale, a suo dire, dovrebbe essere minuta, così da conservarla in tasca e tirarla fuori al momento opportuno, a grandezza naturale, muta e arrendevole), ma sempre forte di un del tutto personale codice morale da cui attingere e in nome del quale combattere determinate battaglie fino in fondo.

In primo luogo quella intesa a difendere un forte sentimento amicale (“Tenevo di più a Johnny” è la risposta data a Coral su ciò che prova nei suoi riguardi), per poi perseguire valori volti alla dignità personale e al rispetto altrui (manda giù un whiskey drogato per salvaguardare il cameriere che l’aveva avvisato della “riserva speciale”). Qui la sua riluttanza nei riguardi del fascino femminile, sublimato da una Scott femme fatale sinuosa e sottilmente ambigua (si esibisce, doppiata da Trudy Stevens, anche nell’esecuzione della canzone Either It’s Love or It Isn’t, parole e musica di Allan Roberts e Doris Fisher), è resa ancora più manifesta rispetto ad altri ruoli simili, quasi parodica, una resistenza protratta fino all’ultimo, anche nel riprendersi prontamente dall’essere caduto nell’intricata rete che gli viene ordita intorno.
Quindi, riprendendo nel concludere quanto scritto nel corso dell’articolo, un’opera minore ma con un suo perché, a partire dal sentore di un sottile fascino misterico e proseguendo con una palpabile tensione emotiva, non disgiunta quest’ultima da una certa fascinazione romantica, sublimata nel finale (mi riferisco ai dialoghi in lingua originale),quando Rip saluterà Coral manifestando però un’affettuosità “cameratesca”, rimembrando di riflesso la morte dell’amico con cui ha condiviso le ambasce belliche e alla cui memoria ha reso giustizia.
Pubblicato su Diari di Cineclub N. 139, Luglio 2025; immagine di copertina: Humphrey Bogart e Lizabeth Scott






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