(MyMovies)

Sabato scorso, nella sala di un cinema della mia zona. Sullo schermo scorrono i titoli di coda del film La voce di Hind Rajab, scritto e diretto da Kaouther Ben Hania, che ha ottenuto il Leone d’Argento-Gran premio della Giuria alla 82ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. A fare da colonna sonora, lo sciabordio ritmico e sommesso dell’acqua del mare che si infrange sulla battigia, un rumore naturale, che nulla ha che fare con i colpi sparati dai carri armati israeliani su civili inermi senza pietà, in fuga da Gaza alla ricerca di un qualcosa che possa ancora dare un senso alla parola speranza. Quel mare che tanto piaceva ad una bambina di sei anni, Hind Rajab, morta insieme agli zii e ai tre cugini il 29 gennaio del 2024, così come i paramedici alla guida dell’ambulanza che aveva ricevuto l’autorizzazione al soccorso, dopo ore di telefonate e trattative.

Hind, una volta deceduta la cugina quindicenne Liyan Hamada, pur ferita, era sopravvissuta al bieco assalto, ma veniva lasciata morire, nello sfregio di un pur minimo rigurgito di umanità nei confronti di quanti oramai non vengono più considerati propri simili, ma dei reietti da annientare o confinare in qualche lembo territoriale da adibire ad anonimo ghetto. Fatico ad alzarmi dalla poltrona, avverto un peso allo stomaco e ho un groppo in gola, gli occhi sono sempre fissi sullo schermo, ora nero, in attesa della prossima proiezione, ma io vi visualizzo le parole esternate da Primo Levi nel suo libro I sommersi e i salvati (Einaudi, 1986): “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.

Mi incammino verso l’uscita e rifletto su come definire quanto visto nel corso di un’ora e mezza, più o meno, di proiezione. Non ho alcun dubbio,  La voce di Hind Rajab è da ritenersi un’opera assolutamente necessaria, considerando la cornice, tutt’altro che splendida, del lugubre periodo storico in cui ci troviamo a vivere, dove è da anni in corso una latente terza guerra mondiale, alimentata da un sovranismo sempre più marcato e da un arido tecnicismo al soldo del potere economico, senza dimenticare le tante coscienze assopite, con le azioni umane volte ad un facile ridimensionamento della solidarietà, quest’ultima espressa cliccando un like o una “faccina” esprimente differenti emozionalità.

Passando all’aspetto meramente tecnico, l’autrice mescola, ridefinendoli, i confini propri dei generi della finzione e del documentario, così da portare in scena, in tutta la sua valenza reale e simbolica, la tragica concretezza di una richiesta d’aiuto cui si è impossibilitati, Sventurata la terra che ha bisogno d’eroi (Bertolt Brecht, Vita di Galileo), a conferire  una risposta altrettanto concreta. Collegando l’audio originale delle telefonate giunte al centralino della Mezzaluna Rossa Palestinese di Ramallah alla ricostruzione in studio della citata struttura, con attori ed attrici* ad interpretare operatori e operatrici, Kaouther Ben Hania, coadiuvata da montaggio (Qutayba Barhamji, Maxime Mathis, Kawthar ibn Haniyya) e fotografia (Juan Sarmiento), crea un’atmosfera claustrofobica, racchiudendo l’orrore e il terrore all’interno di una stanza.

Ecco allora l’alternarsi convulso tra la consapevolezza di quanto si renda necessario un intervento immediato e la tragicità della lentezza inerente al mettere in moto la complessa procedura necessaria a garantire il passaggio dell’ambulanza per le vie cittadine. Una ricostruzione che, condensando nella finzione filmica quanto accaduto nell’arco di tre ore, ci restituisce allo sguardo tutta la nostra impotenza di fronte alla sciagura dell’essere umano che annienta se stesso, trasportato dall’odio, mascherato quest’ultimo nelle forme della guerra civile e religiosa.

Una volta che al centralino della Mezzaluna giungerà la notizia degli spari dei carri armati israeliani sull’ambulanza, la realtà irrompe sullo schermo, ecco la madre di Hind, che ne ricorda la spensieratezza e la gioia di vivere, le immagini del mezzo di soccorso e, a pochi metri, dell’automobile, divelte dai ripetuti colpi a fuoco dei carri armati, mentre tutt’intorno si staglia la tetra immagine di un “deserto delle anime”, generato da quella immane barbarie che conduce ad  una evidente sconfitta, mentre sulle fumanti macerie di un’umanità perduta si staglia, nitido ed incontrovertibile, un agghiacciante silenzio quale unica risposta alla domanda “perché?”.

E intanto dalle cronache accomodanti dei vari telegiornali o dalle diatribe dei cosiddetti programmi di approfondimento si levano bestemmie che lacerano l’anima: “definisci bambino”, “definire genocidio..”, mentre dagli alti scranni politicanti senza scrupoli proclamano la pace, beninteso quella di fare ciò che gli pare, citando e parafrasando i versi di Paolo Pietrangeli(Contessa,  1966). Governanti meschini, “sepolcri imbiancati” che tiranneggiano “modernamente”, veicolando il pensiero unico con fare subdolo e mellifluo, incapaci di andare oltre uno squallido individualismo, considerando il mondo non certo nella sua universalità diversificante di persone in quanto tali, nel pieno godimento di ogni diritto e nel conseguente esercizio dei relativi doveri, bensì come un’utile colonia da asservire alla propria materialità.

*Interpreti; Saja al-Kilani: Rana Hasan Faqih. Clara Khuri: Nisrin Jaris Qawwas. Motaz Malhees: ‘Umar al-Qam. ‘Amir Hulayhil: Mahdi al-Jamal

Una replica a “La voce di Hind Rajab”

  1. […] Cinematic and Box Office Achievement: Avatar: Fire and Ash. F1. KPop Demon Hunters. Mission: Impossible — The Final Reckoning. I peccatori. Weapons.  Wicked: For Good. Zootropolis 2. Best Motion Picture – Non-English Language: Un semplice incidente. No Other Choice – Non c’è altra scelta. The Secret Agent. Sentimental Value. Sirat. La voce di  Hind Rajab. […]

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