
“Y soy Nevenka” (“Io sono Nevenka”), così risponde al telefono Nevenka Fernández (Mireia Oriol), economista, oramai ex Consigliera del Tesoro al comune spagnolo di Ponferrada, rivolgendosi al sindaco Ismael Álvarez (Urko Olazabal), che, dopo essere stato denunciato dalla donna per molestie, continua ad importunarla con telefonate dall’intento manipolatorio, tra tono di voce mellifluo e vezzeggiativi vari. Nella descritta sequenza del film Il mio nome è Nevenka, diretto da Icíar Bollaín, anche autrice della sceneggiatura insieme ad Isa Campo, basandosi su una storia vera, emerge la riacquistata consapevolezza di sé da parte di una donna che, venticinque anni orsono, per la prima volta in Spagna, trovò il coraggio di denunciare il suo superiore per molestie sessuali sul lavoro, reato non contemplato dal codice penale iberico.
Aveva sì intrattenuto con lui una breve relazione, ma ne aveva preso le distanze una volta resasi conto di quanto l’uomo intendesse considerarla nient’altro che una sorta d’oggetto da usare a proprio piacimento, subordinando inoltre l’accondiscendenza sessuale ad eventuali avanzamenti di carriera, ignorandone volutamente, in nome di retrivi retaggi patriarcali, ogni valenza di merito al riguardo. Regia e sceneggiatura procedono in simbiosi nel prendere le distanze dal biografismo santificante, preferendo porre in scena fin da subito un’atmosfera realisticamente oppressiva nel restituirci lo smarrimento proprio di Nevenka, reso con vivida ed empatica immedesimazione da Mirea Oriol, il suo rendersi gradualmente conto di quella mistificazione posta in essere con modalità insinuanti da una persona a lei vicina nell’ambito lavorativo, fino a farla dubitare di se stessa, della sua percezione della realtà, annullandole tanto la capacità di giudizio quanto l’autonomia valutativa.

Eguali ostracismi scaturivano poi da parte di un’opinione pubblica che, al pari dei colleghi e, inizialmente, anche della cerchia parentale, prendeva le distanze, vuoi per personale tornaconto, vuoi per paura, dal mostrare un benché minimo segnale di solidarietà, se non di umana comprensione. Quanto scritto è soprattutto evidente in quella che potremmo considerare una prima parte narrativa, quando un riuscito intarsio di flashback ci riporta a qualche anno prima: Nevenka, laureatasi in Economia, si trasferisce dalla natia città di Madrid nel comune di Ponferrada, una volta accettata la candidatura alle elezioni comunali, nella coalizione guidata da Ismael Álvarez.
Quest’ultimo, ottimamente reso nella sua lascivia e subdola gentilezza da Olazabal, andrà ad esternare nei confronti della donna dapprima apparenti sentimenti amicali, confidandole ad esempio che la consorte è affetta da un male incurabile, quando non affettuosamente paterni, per poi dare luogo a più che disinvolti approcci sessuali, cui, riprendendo quanto su scritto, Nevenka acconsentirà, forse pensando, ingenuamente, che tutto si risolverà nel corso di una notte, nel fermo intento di non portare avanti una relazione. Una volontà quest’ ultima propria anche d’Ismael, che però l’intende non come una fine, bensì l’inizio di tutta una serie di libertà che andrà a prendersi nei suoi riguardi, circuendola fino a rinchiuderla nella gabbia dell’insicurezza e del timore, rendendole impossibile la consueta prosecuzione esistenziale e lavorativa.

La regista, seguendo passo dopo passo la protagonista, ci restituisce, nell’adottare gli stilemi propri di un valido thriller psicologico, la percezione concreta di quanto Nevenka stia attraversando sullo sfondo di un’ordinaria quotidianità, all’interno dei canoni propri della “sociale rispettabilità”, nelle cui convenzioni trovano buon albergo gli spettri del Male, pronti ad insinuarsi e manifestarsi con inusitata e sottile violenza. Sono frutto dell’animo umano, scaturenti da quanti fingono di starci vicino ed appaiono validi ad offuscare ogni reale percezione mentale, mentre la meschinità e la doppiezza, una volta resa palese la loro presenza, andranno a costituire l’ orrore da affrontare.
Conclusa la funzionale narrazione via flashback, suggestiva ed intrigante, di quanto accaduto e del perché Nevenka, dopo un mesto autoesilio, abbia dato il via alla denuncia, la ricostruzione di quest’ultima e la relativa fase processuale si conformano alle ordinarie caratteristiche proprie di un legal drama, senza comunque togliere nulla al realismo e, soprattutto, alla resa empatica degli accadimenti relativi alla protagonista. La lettura della sentenza, infatti, ci coinvolge in un catartico effetto liberatorio, rendendoci un tutt’uno con la liberazione della protagonista dai miasmi propri di una tossica dipendenza psicologica, anche se la società del tempo non era del tutto pronta a conclamate, sacrosante e necessarie, affermazioni relative ad emancipazione ed autodeterminazione, ma d’altra parte certi pregiudizi e retaggi di stampo patriarcale sono duri a morire ancora oggi.

Nevenka, per poter vivere e lavorare nella qualità di persona e in quanto tale lottare per le proprie rivendicazioni e i propri diritti, dovette trasferirsi col compagno nel Regno Unito, dove tuttora vive e lavora, insieme ai loro figli. Presentato in concorso al Festival Internazionale di San Sebastian e in anteprima italiana all’ultima edizione de La Nueva Ola – Festival del cinema spagnolo e latinoamericano, Io sono Nevenka sarà distribuito nelle sale italiane a partire da oggi, giovedì 20, come evento speciale in concomitanza con il 25 novembre, giornata simbolo della lotta contro la violenza di genere istituita dalle Nazioni Unite, ma anche con l’iniziativa 16 giorni di attivismo, una serie di proiezioni ed iniziative realizzate in collaborazione con Una, Nessuna Centomila e WIFT&M – Women in Film, Television & Media Italia.
La distribuzione del film, infatti, coinvolgerà le realtà locali delle città partecipanti, con incontri, dibattiti e momenti di confronto collegati alle proiezioni, così da trasformare la visione in un’occasione di confronto e consapevolezza.





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