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Cessarè è un docufilm scritto e diretto dalla regista Rina Amato, che ripercorre importanti avvenimenti della Locride degli anni Settanta, con particolare riferimento al paese di Gioiosa Ionica (RC), dove quest’estate è stato proiettato in anteprima nazionale. Un’opera che assume rilievo come memoria storica, uno sprone per i cittadini calabresi ad uscire da un immobilismo impastato di rassegnazione ed accettazione di volontà calate dall’alto. Dalla visione del film si evince come la povertà dei mezzi tecnici a disposizione non toglie nulla alla validità della realizzazione complessiva, sostenuta precipuamente da forti motivazioni: la piccola troupe composta dalla regista e da giovani operatori (Selene Toscano, Francesco Didona, Alessio Principato) osserva partecipe i luoghi con efficaci inquadrature, a partire dalla zona che dà il titolo al film, scelta dalle cosche dell’epoca come una sorta di feudo locale. Raccoglie poi le testimonianze dirette, sostenendole avvalendosi di una ricca documentazione che va dal semplice documento cartaceo a quello audiovisivo o fotografico; valido il montaggio di Maria Valerio.

Nei titoli di testa Cessarè per un attimo perde l’accento e diviene cessare: l’autrice vuole evidenziare come quanto messo in scena possa rivelarsi utile per porre termine a facili rimozioni, senza ricorrere a retoriche celebrazioni, lasciando fluire liberamente i ricordi e traendo da questi la spinta necessaria a non rassegnarsi. La narrazione illustra le prime manifestazioni studentesche di protesta contro la mafia e la nascita dei primi collettivi e dà voce a tante testimonianze: tra queste particolarmente toccante quella di Natale Bianchi, ex prete sospeso a divinis, che giunto dal Nord a Gioiosa nei primi anni settanta andava a scontrarsi con una religiosità locale prossima ala superstizione e, Vangelo alla mano, riusciva a scuotere le coscienze, fino ad organizzare una comunità di base, battendosi per moralizzare la chiesa, emancipare la donna, contrastare la ‘ndrangheta.

Emozionante anche la dichiarazione espressa dal sindaco del tempo, Francesco Modafferi, che ricorda come Gioiosa fu il primo paese in Italia ad organizzare uno sciopero contro la mafia, nel 1975, e il suo comune il primo a costituirsi parte civile in un processo contro le cosche; vengono ricordati tragici eventi, a partire dal blocco del mercato settimanale organizzato dai clan locali, che, in seguito all’uccisione di un loro componente, volevano indire una sorta di lutto cittadino, mentre l’intervento dello stesso sindaco e del capitano dei carabinieri Gennaro Niglio riportavano l’ordine. Non meno vibranti le parole di Ciccio Gatto, il fratello del mugnaio Rocco, che ne ricorda l’uccisione avvenuta il 12 marzo ’77 , dopo la denuncia di quanti avevano organizzato il citato blocco.

Molto bella la scelta della regista di inquadrare una serie di orologi, passione di Rocco, fermi alle sei e trenta, l’ora dell’omicidio, simboleggiando un blocco temporale da quel tragico evento, come se, pur con la gente a manifestare in piazza, da allora in poi ci si fosse rassegnati ad un tragico fatalismo, con la ‘ndrangheta che dava inizio alla sua “evoluzione”, abbandonando l’originaria ruralità fino ad insinuarsi come un cancro nelle istituzioni. Ma il tempo non può fermarsi, bisogna andare avanti ed ecco che Ciccio Gatto, su invito della regista, mostra come il suo orologio segni l’ora esatta, mentre i versi de Il mondo di Jimmy Fontana, qui cantata dai Quartaumentata, vanno a concludere il film: “il mondo, non si è fermato mai un momento, la notte insegue sempre il giorno e il giorno verrà...”

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