
Maria (Margherita Buy), poco più di quarant’anni, vive a Napoli, insegna in una scuola serale, è single, una storia d’amore alle spalle, ormai rassegnata ad una consapevole infelicità, trattenendo a stento la rabbia per quella distanza che avverte dal mondo che la circonda, per il vuoto che in fondo sente nella sua esistenza, che colma frequentando sale cinematografiche d’essai e trovando conforto nell’amicizia del collega Fabrizio (Giovanni Ludeno). Un giorno al cinema incontra Pietro (Guido Caprino), uomo solo con bebè a carico, ed è subito attrazione.
Maria sa bene che si tratta di una storia effimera e la vive con una sorta di leggiadra incoscienza, come qualcosa che al momento può darle se non altro un po’ di felicità, interrotta dall’allontanarsi di Pietro alla notizia della sua gravidanza, evento inaspettato. Maria non si arrende, porterà a termine la gravidanza da sola, dopotutto “da sola hai sempre fatto tutto” le dice Fabrizio, ma il destino ha deciso che la donna debba superare un’altra prova, il parto infatti sarà prematuro, al sesto mese, e la bimba dovrà restare nell’incubatrice fino a quando non riuscirà a respirare autonomamente, in una sorta di limbo in attesa di nascere o morire.
Per Maria i mesi d’attesa saranno occasione per riflettere sulla propria esistenza, una preparazione ad una nuova nascita, coincidente con quella di Irene, il nome che ha deciso di dare alla sua bambina, partendo da quello “spazio bianco”che si può lasciare su un tema per iniziare un nuovo periodo, come spiega ad un suo allievo, quando non si riesce più a continuare quanto si era in precedenza scritto, simbolo di quegli imprevisti che ti capitano all’improvviso nella vita, lasciandoti in sospeso tra la fine o una nuova partenza.
Tratto dall’omonimo romanzo di Valeria Parrella, sceneggiato da Federica Pontremoli e Francesca Comencini, regista del film, Lo spazio bianco è un’opera insolita ed intensamente toccante, con un’interpretazione della Buy a dir poco strepitosa, che riesce a dare spessore al personaggio anche nel silenzio, con un semplice sguardo, un gesto d’ira trattenuto, esprimendo con la mimica tutta la sua rabbia interiore e che fa passare in secondo piano uno stile di regia spoglio ed essenziale, freddo a volte, movimentato comunque da una certa inventiva e da un montaggio nervoso, dinamico (Massimo Fiocchi), che spezza la linea temporale alternando i momenti in cui Maria è accanto all’incubatrice a quelli precedenti il parto o immediatamente vicini.
Pur incentrata sulle vicende personali della protagonista, la storia offre anche una visione in soggettiva dell’attuale società, a partire dal sempre più difficile rapporto tra i sessi, con l’amicizia che si fa valore assoluto e fondante, passando per la difficile situazione scolastica o una burocrazia di stampo medievale che vede la maternità di una donna sola come “illegittima”, con l’attesa di Maria per una nuova vita che diviene la nostra attesa, con il suo “spazio bianco” da cui ricominciare che diviene la nostra speranza per un mondo migliore.





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