Mercoledì 1 settembre è andata in onda su Rai Uno, in prima serata,la registrazione del musical di Michele Guardì I Promessi Sposi–Opera Moderna, al suo debutto presso lo Stadio San Siro di Milano lo scorso 18 giugno. Combattendo tra diffidenza e curiosità, quest’ultima, per fortuna, ha finito per prevalere. Perché dico “per fortuna”? Essenzialmente in quanto ritengo che la cultura non debba essere irreggimentata in compartimenti stagni e come spesso sia fortemente necessario sgomberare la mente da ogni pregiudizio e avere il coraggio di valutare un’opera scevri da condizionamenti, anche quando c’è di mezzo il nostro romanzo storico per eccellenza, croce e delizia di ogni studente che si sia accinto alla sua lettura.
Scorrono i titoli di testa, il libretto è dello stesso Guardì, autore della regia sia teatrale che televisiva, le musiche sono di Pippo Flora, l’ orchestrazione e direzione d’orchestra di Renato Serio, con la direzione musicale e collaborazione agli arrangiamenti di Gianluca Cucchiara (al pianoforte Sergio Cammariere, anche consulente musicale), le coreografie di Mauro Astolfi, i costumi di Adolfo Lai.
A stupirmi in primo luogo è la scenografia (Luciano Ricceri), veramente imponente, con tanto di scenari rotanti che danno un forte sapore cinematografico, poi il taglio da “teatro nel teatro” che assume l’entrata in scena dei vari protagonisti,intenti tra prove e trucco prima di calarsi nella parte (richiama l’incipit del film Jesus Christ Superstar); purtroppo, man mano che l’opera prende piede, cominciano a prevalere i dubbi sugli entusiasmi.
Intanto, dando per scontato che tutti conoscano il romanzo d’origine, e forse sarà pure vero, non vi è alcun prologo introduttivo, si parte subito con i gorgheggi di Renzo e Lucia che ricordano tanto i lieti cinguettii di Biancaneve e del Principe Azzurro nel cartoon Disney, e le cattive intenzioni di Don Rodrigo, proseguendo sempre per quadri staccati, mai veramente legati insieme, se non da un coro, a volte veramente ripetitivo, vertente sulle tristi condizioni della “povera gente” vessata dai soliti “ricchi e potenti”.
La musica infatti, per quanto apprezzabile, appare coinvolgente ed originale solo a tratti, sembra mancare di una certa autonomia stilistica: se il termine “opera moderna” sta a significare una miscellanea di stili diversi, dall’opera lirica al musical, non vuol dire però che debba riecheggiare sin troppo fedelmente produzioni passate e recenti.
Tra le parti più riuscite, a mio avviso, l’incubo di Don Abbondio, l’addio ai monti di Lucia, l’assalto ai forni, e la parte finale, dalla conversione dell’Innominato (anche se la sua entrata in scena con pipistrelli svolazzanti è un po’ troppo di maniera) in poi, con tanto di sofferto Padre Nostro, accompagnato da canti di gratitudine e pioggia purificatrice; a queste se ne accompagnano altre meno convincenti se non risibili: una su tutte l’arrivo di Renzo a Milano e il suo canto (Ecco Milano) a celebrarne le meraviglie, una via di mezzo tra lo spot della Milano da bere e la gaberiana Quant’è bella la città, ma senza gli stessi risvolti ironici.
Non particolarmente entusiasta, ritengo comunque l’operazione in sé valida, visto che il libretto di Guardì, nella sua semplicità, appare rispettoso della storia manzoniana, insistendo forse troppo su toni politici e meno sull’affidarsi dei protagonisti alla Provvidenza divina negli inciampi della loro triste e sofferta esistenza; la cura nei costumi e nella coreografia in generale contribuiscono, insieme alle citate scenografie, all’ immagine d’alta qualità complessiva, tutta la compagnia appare ben sincronizzata nei vari movimenti e la musica, nei limiti citati, ha il pregio di essere facilmente fruibile.
Tra gli interpreti, buona l’interpretazione di Lucia data da Noemi Smorra, e di Renzo, Graziano Galatone, convincente il Don Rodrigo possessivo e violento di Giò di Tonno, anche se a volte troppo intento nell’ urlare che nel cantare, intensa Lola Ponce nei panni della Monaca di Monza, (ma deve ancora guarire dal “complesso di Sanremo”, crede sempre di essere sul Palco dell’ Ariston), bella la recitazione di Vittorio Matteucci (l’Innominato) e di Vittorio Gravina (Frate Cristoforo e il Cardinale Borromeo), mentre il Don Abbondio di Antonio Mameli “sordeggia”, ovvero ricalca l’interpretazione data dal grande Albertone nazionale ne I promessi sposi di Salvatore Nocita.





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