John Milius (1944), è tra le personalità più controverse del cinema statunitense, non sempre visto di buon occhio dalla critica, soprattutto per il suo orientamento verso la destra più conservatrice. Ottimo sceneggiatore (Apocalypse Now, ‘’79, Francis Ford Coppola, L’uomo dai sette capestri, John Huston, solo per citarne alcuni) e regista di buon polso (l’esordio con Dillinger, ’73, l’esotico e avventuroso Il vento e il leone, ’75), ha dato vita ad opere fortemente connotate da temi personali e ricorrenti, quali il senso dell’onore, l’amicizia, il rispetto reciproco tra le persone.
Sullo sfondo toni epici volti ad esaltare sia la natura e i suoi elementi, sia colui che vi sta al centro, l’uomo, l’essere umano, spesso in conflitto con essa, risultando vincitore non fosse altro che per aver preso parte alla lotta, senza tirarsi mai indietro; vi è un certo richiamo all’epica di John Ford, non a caso spesso citato da Milius in varie interviste. Un mercoledì da leoni, di cui è regista e sceneggiatore insieme a Dennis Aaberg, è tra i suoi film più noti e più riusciti, conciliando spettacolarità e toni intimistici e nostalgici, venati di autobiografia, quasi elegiaci.
L’andamento narrativo delinea una divisione strutturale e temporale, dal sapore metaforico (la coincidenza con alcuni grandi eventi della storia americana), in stagioni, con una grande mareggiata (da sud, ovest e nord), l’occasione migliore per i patiti del surf di mettere in mostra la propria abilità. Tra questi, siamo in California, vi sono tre amici, Jack (William Katt), Matt (Jan-Michael Vincent) e Leroy (Gary Busey), dapprima (estate ’62) allegri e spensierati, dediti al loro sport preferito, assistiti da Bear (Sam Melville), ex campione ed abile costruttore delle tavole, tra feste e gite in Messico, poi (autunno ’65), alle prese con la chiamata alle armi per il Vietnam.
Matt, che intanto si è sposato ed è padre di un a bambina, e Leroy riescono a farla franca con qualche trucco, Jack invece parte per il fronte. Inverno ’68, Jack torna integro dalla guerra, dove ha trovato la morte un comune amico, la sua ragazza, con la quale non si è voluto impegnare, è ormai sposata e i suoi amici non sono più quelli di un tempo: occorrerà attendere 4 anni, la grande mareggiata del’74, perché il gruppo si riunisca, affrontando un’onda gigantesca…
Tra romanzo di formazione, forse un po’ grezzo, e forte simbolismo sul malessere di una generazione e di una nazione in totale cambiamento, Milius delinea attraverso i tre protagonisti diverse modalità di affrontare la vita, i cambiamenti e le scelte che spesso impone, e, secondo la sua logica, tre diversi modi di essere americani, rimpiangendo, senza grandi approfondimenti, l’idea di un’ America che non c’è più; i valori dell’amicizia, il senso dell’appartenenza ad un gruppo e della solidarietà sono certo importanti, ma l’uomo dovrà far fronte alle avversità sempre da solo.
Un film che, al di là dell’ideologia espressa, merita di essere ricordato, oltre che per le splendide riprese a filo d’acqua e per la bella colonna sonora (Basil Poledouris), con tempi musicali e montaggio praticamente coincidenti, per l’ estrema sincerità di cui è soffuso.





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