(MyMovies)

Morto un papa se ne fa un altro, recita l’antico adagio popolare, ma se dopo l’elezione da parte del conclave cardinalizio e conseguente fumata bianca, il neo eletto pontefice (Michel Piccoli, intenso e sommessamente dolente) al momento di comparire sul balcone per la proclamazione ufficiale non ne volesse proprio sapere, manifestando per di più “il gran rifiuto” con un urlo straziante?

Da questo, apparentemente semplice, assunto si sviluppa e prende efficacemente corpo, tra studiata leggerezza, ironia e soffusa angoscia esistenziale, Habemus Papam, regia di Nanni Moretti, autore anche della sceneggiatura, insieme a Francesco Piccolo e Federica Pontremoli, oltre che interprete nel ruolo dello psicoanalista, non credente, chiamato a scandagliare, con tutte le accortezze e i limiti imposti dall’etichetta, quale possa essere il motivo del turbamento di Sua Santità.

Non è un film sulla Chiesa o contro di essa, Moretti non si scaglia contro dogmi o certezze precostituite, bensì, attenuando la sua iconoclastia, prosegue nel discorso morale che gli è proprio sin da inizio carriera, evidenziando e accompagnando con morbidi movimenti di macchina, essenzialmente l’incertezza, il muoversi allo sbando di un’umanità smarrita, ormai satura di pseudo valori.

Un’umanità che subisce da un lato l’arroganza irresponsabile di un potere che, consapevolmente o meno, contribuisce ad alimentare tra ignavia e supina accondiscendenza (Il caimano) e dall’altro avverte il vuoto che l’attanaglia, la mancanza di una qualsivoglia spiritualità, il peso di una confusa ricerca interiore, non riuscendo però a trovare adeguate risposte, perché se la terra a volte anela verso il cielo, non sempre avviene il contrario, mancando spesso l’incontro decisivo.

Questo è quanto viene metaforizzato nella pellicola, il papa in fuga, che cammina per le vie di Roma, “uomo tra gli uomini” a contatto con il mondo, oltre che con se stesso, con il suo vero io finalmente venuto fuori, lo psicoanalista “prigioniero” in Vaticano, costretto a confrontarsi con i vari cardinali, tra una partita a scopone ed un torneo di pallavolo, dei quali man mano mette allo scoperto ogni fragilità ed anche in dubbio qualche certezza (il botta e risposta su Darwin con il cardinale Gregori, un efficace Renato Scarpa).

Pregio dell’opera, segnale di piena maturità artistica, è di lasciare aperta la porta all’interpretazione di chiunque, credente o meno, apparendo comunque emblematico che il pontefice alla domanda su quale lavoro faccia, risponda “l’attore”: cioè, al di là della sua reale passione per il teatro, interpretare un ruolo, recitare una parte, essere presente in scena.

Si evidenzia allora, alla fin fine, come possa essere più importante raffigurare il vicario di Cristo, riempire insomma un posto vuoto (vedi la guardia svizzera piazzata negli appartamenti pontificali, ad inscenarne la presenza), mantenendo la continuità del potere, che assumersi veramente il peso del messaggio di amore, comprensione, fratellanza di Gesù, il suo “misericordia voglio e non sacrificio” che dovrebbe essere scolpito nel cuore degli uomini, la vera pietra sulla quale edificare la sua chiesa, e non imbalsamato in dottrine immutabili, senza voler scendere in questioni teologiche.

Nel bellissimo, tragico, finale affacciatosi finalmente al balcone, il pontefice esternerà alla folla tutti i suoi dubbi nel riuscire a poter dare loro ciò di cui hanno veramente bisogno, una Chiesa che sappia parlare, comprendere e compatire, andandogli incontro facendosi portatrice di una nuova speranza: tra le tende color porpora resterà allora il vuoto, il nero buio a scendere sull’attesa di una risposta al perché della nostra esistenza.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

In voga