Due anni dopo il deflagrante Una notte da leoni (The Hangover), la commedia R-Rated (“restricted”, minori di 17 anni accompagnati) maggiormente baciata dal successo di tutti i tempi, 467 milioni di dollari di incasso mondiale e un Golden Globe a premiarne la riuscita commistione tra demenzialità, goliardia, toni scanzonati e surreali, con in più un tocco di noir, ecco l’inevitabile, almeno a logica di botteghino, numero 2.
Stesso regista, Todd Phillips, anche sceneggiatore (insieme a Craig Mazin e Scot Armstrong, subentrati a Jon Lucas e Scott More), stessi attori a comporre il wolf pack, una location diversa come scenario, ma, purtroppo, un’inventiva ben lontana da quella originariamente messa in campo, con varie volgarità sempre più fini a se stesse e non giustificate dal “politicamente scorretto”.
Stu (Ed Helms) sta per sposarsi con Lauren (Jamie Chung), la cerimonia si svolgerà a Bangkok, Thailandia, terra d’origine della sposa; niente addio al celibato, considerati i trascorsi, ma un tranquillo brunch con Doug (Justin Bartha) e Phil (Bradley Cooper), il quale, contrariato, convince Stu ad invitare anche Alan (Zach Galifianakis), della cui presenza avrebbe fatto volentieri a meno.
Al gruppo in partenza si unisce il fratello 17enne di Lauren, Teddy (Mason Lee), genio senza alcuna sregolatezza; arrivati a destinazione, dopo i convenevoli di rito e una serata trascorsa in spiaggia, falò, birra e marshmalllow, il risveglio in una squallida stanza d’hotel, Alan rasato a zero, Stu con un tatuaggio in viso, Phil semplicemente stordito, un dito di Teddy, le misteriose presenze di Mr. Chow (Ken Jeong), di uno strano vecchietto silente e di una scimmietta; unico contatto Doug, rientrato nel residence dove da lì a poco dovrebbe celebrarsi il matrimonio…
Nel complesso più un remake fotocopia del precedente che un vero e proprio sequel, tanto da potersi sbizzarrire nel “trova le differenze”, giochino caro a più di una rivista enigmistica e che qui si è rivelato utile per ovviare al senso di stanco deja vu, qua e là intervallato da qualche trovata divertente, come la visita ad un monastero buddista e il viaggio nella memoria di Alan, una volta tanto indotto da pratiche meditative, in parte esaustivo nel comporre le tessere di un complicato mosaico.
Sceneggiatori e regista approfittano un po’ troppo della circostanza che tutto sia giocato sul contrasto tra le diverse psicologie dei protagonisti, perfettamente in parte, di come alcuni di questi siano totalmente diversi da come appaiono e capaci di gesta impensabili, le cui conseguenze siano avvertibili “a posteriori” (l’avventura di Stu con un trans, efficace nella resa comica, per quanto scontata e “pesante”), così come del fatto che le varie gag siano essenzialmente di situazione, nascenti dal reale, ma spesso volte ad una cosciente ed insistita deriva sbracata.
Il montaggio abbastanza veloce, specie dopo lo statico prologo introduttivo, fa sì, comunque, che tutto passi abbastanza rapidamente e senza colpo ferire, scimmietta, capro espiatorio di insistite e volgarotte coazioni a ripetere, a parte.
Nel citare le apparizioni di Paul Giamatti e Mike Tyson, gara aperta per la loro inutilità, specie la seconda, e di come i titoli di coda, ancora un ricalco del precedente con le foto ad illuminare sulle folli gesta, siano forse la parte più divertente, attendo per l’annunciato n. 3 almeno un po’ di sana follia ed originalità di scrittura, al di là della solita gita scolastica di questi mattacchioni fuori corso della vita.





Lascia un commento