Ormai affermata squadra di eroici mercenari, una volta messo in salvo il pianeta Xandar, i Guardiani della Galassia Peter Quill Star Lord (Chris Patt), Gamora (Zoe Saldana), il procione parlante Rocket, frutto di più esperimenti genetici, Baby Groot, piantina umanoide e Drax il Distruttore (Dave Bautista) sono ora in attesa di fronteggiare un mostro intergalattico che intende impossessarsi di alcune batterie particolarmente preziose per la popolazione dei Sovereign. A missione conclusa si recano al cospetto della scintillante regina Ayesha (Elizabeth Debiki) così da ricevere il pattuito guiderdone, ovvero la sempre rancorosa, con più di un motivo, sorella di Gamora, Nebula (Karen Gillan), resa prigioniera proprio dai Sovereign nel corso della battaglia di Xandar.
Ma per quanto ormai adusa ad epiche imprese, pur sempre sotto la bandiera del personale tornaconto, la variegata compagine sembra non aver perso del tutto una certa indole balorda: Rocket infatti non resiste alla tentazione di sottrarre qualche batteria, per cui una volta a bordo della Milano, in procinto di volare verso qualche galassia lontana alla ricerca di nuove avventure, i nostri si troveranno ben presto a dover schivare l’attacco delle navicelle a comando mentale dei Sovereign.

Ne verranno fuori per il rotto della cuffia grazie all’intervento di uno strano individuo, che si presenterà loro, insieme alla misteriosa Mantis (Pof Klementieff), una volta atterrati, causa gli ingenti danni subiti, sul pianeta Berhart: trattasi di tale Ego (Kurt Russell), essere celestiale che ha assunto forma umana, padre di Peter…Intanto sulle tracce dei Guardiani si stanno muovendo Youndu Udonta (Michael Rooker) e i suoi accoliti, sempre su incarico di Ayesha, i Sovereign sono molto possessivi, non perdonano chi ruba le loro cose… Difficile che il sequel di un film dalla felice riuscita, idoneo a stupire sia riguardo l’aspetto visivo sia quello narrativo, apportatore di leggiadra e sano intrattenimento, possa, la storia del cinema insegna, suscitare o quantomeno richiamare le medesime sensazioni.
Difficile ma non impossibile se si è un regista abile e sagace come James Gunn, ora anche autore in toto della sceneggiatura (nel capitolo precedente era affiancato da Nicole Pearlman), che in Guardiani della Galassia Vol. 2 è riuscito a mantenere identico afflato scanzonato e strafottente, permeando la narrazione di un tono fanciullesco volto fortunatamente a non prendersi troppo sul serio, puntando a condividere con gli spettatori il divertimento scaturente da un film d’avventura “vecchio stile”, miscellanea pop di più generi cinematografici (commedia, dramma sentimentale, azione, ma c’è spazio anche per il western).
Il tutto avvolto nell’impianto visivo- drammaturgico proprio di una space opera, attualizzando in definitiva quel particolare sincretismo messo in atto da George Lucas con Star Wars (1977), come ebbi modo di scrivere recensendo Vol.1.

Ecco quindi nuovamente la colonna sonora (Awesome Mix Vol.2) dall’ormai collaudato effetto straniante, con i vari brani musicali del tutto in sincrono con le sequenze d’azione, come nella splendida scena d’apertura mentre scorrono i titoli di testa, sulle note di Mr. Blue Sky (Electric Light Orchestra, 1977), i cui toni smargiassi e spavaldi sono mitigati dal prorompere candido ed infantile di Baby Groot o idonei a sottolineare scene più intimistiche, come quella verso il finale, attraversata da Father e Son (Cat Stevens, 1970). Sullo sfondo di una scenografia particolarmente ricercata (Scott Chambliss), che richiama dichiaratamente le illustrazioni delle produzioni pulp di fantascienza degli anni ’50-’60, solo in parte resa tramite il ricorso al digitale, esaltata dalla fotografia di Henry Braham nell’alternanza di colori ora più vividi ora neutri, si staglia senza alcun stridore, a parte qualche momento un po’ statico quando i componenti della squadra si trovano ad agire in solitaria, il tema dominante dell’intera narrazione, ovvero la famiglia. Quest’ultima è inquadrata, ça va sans dire, in un’ ottica del tutto diversa da quella consueta, facendovi rientrare anche, se non soprattutto, quei rapporti interpersonali che, al di là dei vincoli genetici di parentela si vengono a creare e a consolidare nel tempo fra individui “diversamente reietti” che si ritrovano a combattere insieme, mediando fra un ideale comune ed una personale possibilità di riscatto.

Una tematica che permette anche di delineare una maggiore caratterizzazione psicologica dei personaggi, facendo leva sul loro carisma e ponendoli mano a mano a confronto con i personali retaggi del passato che vengono gradualmente esternati, dall’infanzia di Peter senza una figura paterna di riferimento, tanto da ricorrere a David Hasselholff quale avatar compensatore, al drammatico e straziante confronto fra Nebula e Gamora nel rinvenire un nemico in comune, passando per le “brutali” e schiette esternazioni di Drax e Mantis una volta messe svelate le rispettive personalità e senza dimenticare le complessità caratteriali del roditore Rocket o quelle di Youndu, che vanno ben al di là della rispettiva superficie di un estemporaneo vado l’ammazzo e torno o di un ghignante menefreghismo. L’intimità amicale propria di un gruppo familistico di fatto, rafforzata quindi dalla condivisione empatica di vicende personali e, nel caso di Star Lord e Gamora permeata ora da “un senso di non detto” che sembra aver allontanato il di lei timore del “maleficio pelvico” potenzialmente espresso dalla sciamannata faccia da schiaffi, sarà poi messo a confronto con l’individualismo dispotico espresso da Ego, nomen omen, essere celestiale e pianeta a propria immagine e somiglianza al contempo, aduso a servirsi degli altri, anche i propri consanguinei, per scopi di dominio e senza alcuna condivisione che non sia l’esternazione di un sinistro narcisismo.

Ben diretto e con valide interpretazioni dell’intero cast (gustosa l’apparizione del buon vecchio Sly, in un ruolo che probabilmente sarà maggiormente definito in futuro), comprese quelle rese in digitale da Rocket e Baby Groot (le movenze in motion capture sono rispettivamente di Bradley Cooper e Vin Diesel, al pari delle voci nella versione originale), Guardiani della Galassia Vol. 2, avrebbe forse meritato qualche sforbiciata qua e là e, una volta stropicciatosi gli occhi nell’uscire dal rutilante luna park, ci si accorge di come, nell’alternanza di continuità e maggiore approfondimento, Gunn abbia comunque furbescamente messo in campo tutto il necessario per allestire un Vol. 3 e lo si evince inoltre dalle ben orchestrate sequenze che seguono, inframezzano e concludono i titoli di coda (i quali ripartono ogni volta dalla reiterazione I am Groot) sulle note di una canzone inedita, scritta da Tyler Bates e Gunn, eseguita dal citato Hasselholff, fra le quali trova ulteriore esternazione un simpatico cameo di Stan Lee, già visualizzato nel corso del film.

Nulla di male, sempre se, confidando sull’intelligenza dell’autore, sarà idoneo a palesarsi come una perfetta conclusione di una trilogia composta da titoli che finora hanno saputo mantenersi distanti, con ironia ed autoironia, dalle fin troppe consuete spacconate Marvel, offrendo invece adeguata sostanza e corporeità al genere del cinefumetto, mantenendone lo spirito genuinamente pop delle tavole d’origine* ed offrendo contemporaneamente opportuna dimensione “umana” ai personaggi e alle vicende narrate, pescando in quell’immaginario collettivo permeato da situazioni e sensazioni proprie di certe produzioni anni ’80, in nome di una giocosità dal retrogusto spielberghiano.
Che il cazzeggio, pardon, sia con te, James Gunn.
*Lo spunto per la trasposizione cinematografica nasce dall’omonimo fumetto del 2008, Guardians of the Galaxy, testi di Dan Abnet e disegni di Andy Lanning, a sua volta reboot della serie originale (Marvel Super-Heroes, vol.2, n.18, gennaio 1969, sceneggiatura di Arnold Drake per la matita di Gene Colan).