Kim Ki-duk (1960-2020)

Kim Ki-duk (Wikipedia)

Ci lascia il regista sudcoreano Kim Ki-duk (Bonghwa, 1960), morto ieri, venerdì 11 dicembre, in Lettonia, dove si era recato verso fine novembre per comperare una casa a Jurmala. Simbolo di un cinema essenziale ed estremamente diretto, capace di coniugare poesia e brutalità, alternando, anche bruscamente, visionarietà ed iperrealismo, Kim Ki-duk all’età di trent’anni si trasferì a Parigi per studiare arte ed una volta rientrato in terra natia diede avvio alla sua attività cinematografica come sceneggiatore, esordendo infine in qualità di regista  nel 1996 con Crocodile, anche se la notorietà internazionale verrà definitivamente conseguita nel 2000, quando alla 57ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia venne presentato, in concorso, Seom (L’isola), che contribuì a farne conoscere la descritta poetica di stile, personale ed originale, incline a catturare attraverso la narrazione tanto improvvisi squarci d’umanità quanto la desolante assenza di quest’ultima. Il cineasta sudcoreano ha comunque anche saputo visualizzare, sempre avallando inconsueti stilemi narrativi e visuali, un’analisi critica della società in cui viveva (Nabbeun namja- Bad Guy, 2001; Hae anseon The Coast Guard, 2002), pur continuando a prediligere e ad assecondare una poetica visionarietà con opere quali Bom yeoreum gaeul gyeoul geurigo bom (Primavera, estate, autunno, inverno … e ancora primavera, 2003).

(ByTowne Cinema)

 Nel titolo citato la macchina da presa si presta ad una ponderata osservazione sulla ripetitività temporale, nel succedersi delle stagioni e delle varie ritualità comportamentali messe in atto dall’essere umano. All’opposto, invece, eccolo poi sostenere un profondo tratteggio realistico (Samaria-La samaritana, 2004; Bin-JipFerro 3 – La casa vuota, 2004, che vinse il Leone d’Argento per la Miglior Regia alla 61ma Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia), proseguendo con un felice periodo produttivo (HwalL’arco, 2005; Shi ganTime, 2006; SoomSoffio, 2007), che si interruppe bruscamente nel 2008, quando, in seguito ad un incidente quasi mortale sul set di Dream (Bimong, 2008), il regista cadde in una profonda depressione, riportata nel diario filmato Arirang (2011), dove si interroga al contempo sulla propria attività e sulla potenzialità espressiva del cinema. La vitalità artistica di Kim Ki-duk, ora dominata da toni torbidi e cupi, riprende nel 2012 con Pietà, conquistando il Leone d’Oro alla 69ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, proseguendo poi con Moebius (Moebiuseu, 2013), One on One (Il-dae-il, 2014), Seutop (2015), Il prigioniero coreano (Geumul, 2016), Ingan, gong-gan, sigan geuligo ingan (2018) ed infine Din (2019), sua ultima realizzazione.


2 risposte a "Kim Ki-duk (1960-2020)"

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