Da “Long Story Short” ad “Era ora”, ovvero come allestire un buon remake

(IMDb/Movieplayer)

La disponibilità sulla piattaforma Netflix del film Era ora, presentato alla 17ma Festa del Cinema di Roma, per la regia di Alessandro Aronadio, anche sceneggiatore insieme a Renato Sannio, che ha quale dichiarata fonte ispiratrice la pellicola australiana del 2021 Long Story Short (da noi intitolata Come se non ci fosse un domani), scritta e diretta da Josh Lawson, mi ha portato, spinto da una fortunatamente sempreverde curiosità, a prendere visione dei due titoli, così da porre in essere un salutare confronto nel valutare precipuamente quanto la versione italiana si differenzi da quella d’origine. Il tutto andando anche a considerare come per entrambe si declini quale bussola direzionale nello scandire i paradossi temporali l’ormai classico Ricomincio da capo (Groundhog Day, Harold Ramis, 1993, del quale nel 2004 Giulio Manfredonia girò un remake, E’ già ieri), per quanto, almeno a parere di chi scrive, ulteriori archetipi di riferimento potrebbero già rinvenirsi tanto in letteratura (A Christmas Carol, in Prose. Being a Ghost-Story of Christmas, Charles Dickens, 1843) che nell’ambito della Settima Arte (It’s a Wonderful Life, Frank Capra, 1946, ad esempio, ma anche Przypadek, Destino cieco, Krzysztof Kieślowski, 1981, o Sliding Doors, Peter Howitt, 1998, il quale trae ispirazione da alcune idee del citato cineasta polacco). Long Story Short prende il via nel corso di una festa di Capodanno, quando si viene casualmente a formare la coppia Teddy (Rafe Spall)-Leanne (Zahra Newman): al subitaneo, reciproco, colpo di fulmine, seguiranno le nozze, nonostante le titubanze di lui, superate, non senza qualche difficoltà, dalle riflessioni sul carpe diem esternate da un’anziana donna all’interno di un cimitero, dove Teddy aveva provveduto a presentare virtualmente la compagna al defunto padre.

Rafe Spall e Zahra Newman (The Globalist)

Dopo la prima notte di nozze il nostro si troverà coinvolto all’interno di un sconvolgente turbinio temporale: l’incorrere di un pisolino, la presa di contatto con un determinato oggetto, l’apertura dello sportello del frigorifero o gesti simili segneranno ogni volta il passaggio di un anno, contrassegnato dalla ricorrenza dell’anniversario di matrimonio, fin quando non sarà trascorso un decennio, nel corso del quale, tra l’altro, vi è stata la nascita di una bambina, Talullah. La concentrazione di Teddy su se stesso e sulle problematiche lavorative ha comportato poi l’insorgere di una crisi di coppia e conseguente separazione, Sam (Ronny Chieng), il suo miglior amico, è morto dopo essersi ammalato di cancro…La possibilità di porre rimedio alla mancata partecipazione ad eventi così determinanti relativamente al proprio incedere esistenziale ed alla sua influenza nei rapporti con quanti sono vicini potrebbe rinvenirsi in un misterioso regalo ricevuto nel giorno del matrimonio, ma soprattutto in una rinnovata assunzione di responsabilità riguardo la necessità di fare tesoro di ogni secondo che ci è stato concesso nel proseguire lungo il sentiero della personale esperienza terrena, andando oltre l’illusione che il tempo sia qualcosa di cui disporre a proprio piacimento a seconda delle circostanze. Il rimpianto di non aver vissuto in pieno i propri anni sarà sempre dietro l’angolo e potrà trovare compensazione solo nel presente vissuto qui e ora, insieme alle persone amate, assecondando il fluire temporale ed accettandone ogni variazione sul tema, volenti o nolenti.

(Cineblog)

Grazie a dialoghi complessivamente piuttosto brillanti e ad una regia “svelta” ed attenta alle interpretazioni attoriali, per quanto non propriamente caratterizzante, Long Story Short snoda il proprio iter narrativo lungo le linee della commedia fantastica, con l’elemento soprannaturale che entra a far parte della rituale quotidianità. Quest’ultimo appare volto a compensare le mancanze e i limiti dell’apporto umano nell’incedere di vari accadimenti, andando a materializzarsi visivamente in una sorta di pulviscolo turbinoso, pari, credo, al veloce scorrere della sabbia all’interna della clessidra del tempo, così da dar vita, pur con più di un affanno in sede di sceneggiatura (ad esempio, Teddy sacrifica il suo vivido interesse per la fotografia sull’altare della produttività lavorativa, ma non sappiamo mai quale sia in effetti il suo impiego), ad una moderna fiaba sul senso da conferire giornalmente alla propria vita per il tramite del personale contributo, fino a condividerlo con quanti gravitano attorno alla propria esistenza. Era ora, invece, riporto come di consueto la primaria sensazione avvertita nel corso della visione, sembra prendere le distanze dalla descritta impostazione favolistica e fantastica dell’originale e, pur riprendendone alcune sequenze, a partire dall’attacco con i festeggiamenti di fine anno e lo scambio di persona a comportare casuale conoscenza e subitanea attrazione reciproca tra Dante (Edoardo Leo) ed Alice (Barbara Ronchi), per poi giungere al matrimonio, qui con il ticchettio dell’orologio a miscelarsi alle note della colonna sonora, se ne differenzia per rimarcare quale elemento portante del veloce incedere temporale a discapito del protagonista il compimento del suo compleanno ma soprattutto per fare leva su stilemi “funzionalmente” grotteschi e surreali, del tutto consoni al regista nel loro fluido adattamento ad una costruzione narrativa che comunque non dimentica di offrire spazio ad un realistico “logorio della vita moderna” (il pensiero va principalmente ad Orecchie, 2016).

Barbara Ronchi ed Edoardo Leo (Rolling Stone)

Interessante anche l’inserimento di nuovi personaggi, vedi Marcello, l’anziano padre di Dante, interpretato da un eccellente Massimo Wertmüller, morbo di Alzheimer in corso e un passato da gaudente alle spalle, che sembra fungere da cartina di tornasole relativamente a determinati aspetti caratteriali del figlio, così come la rappresentazione del lavoro da questi esercitato all’interno di un’agenzia assicurativa, illustrandone l’avanzamento di carriera nel corso di un decennio, sempre a scapito degli affetti e delle emozioni di cui godere pienamente, a partire dalla nascita della figlia, Galadriel e passando per tristi eventi, quali, ad esempio, la separazione. Rimarchevole poi il rilievo offerto alle conseguenze dell’atteggiamento distratto di Dante nei confronti della consorte Alice, felicemente interpretata da Barbara Ronchi nell’esprimere adattamento pratico misto ad un certo disincanto nell’affrontare le proprie scelte di vita, fino all’affermazione come illustratrice, ma anche dell’amico fraterno Valerio, cui Mario Sgueglia offre l’aura sgualcita e pesta propria di chi è dovuto cadere più volte per apprendere come rimettersi in piedi (Thomas Wayne, Linus Roache, rivolto al figlio Bruce, Batman Begins, 2005), mentre Di Leo, per quanto bravo e del tutto in parte, non mi pare vada oltre dall’esprimere stupore e sconcerto nel vedersi soverchiare da vari accadimenti, come già in altre interpretazioni. L’iter narrativo, mano a mano che si avvicina alla parte centrale mi è sembrato che risentisse di una fase stagnante, causa la ciclica ripetitività di eventi e situazioni a procedere per accumulo, per poi ritrovare efficace e coinvolgente slancio verso il finale, quando Dante, maturata una congrua presa di coscienza nel riprendere contatto con la propria più intima essenza, senza quindi la mediazione di influssi “magici” o comunque soprannaturali, inizierà a considerare il fattore tempo nella qualità di congrua risorsa da sfruttare nella sua totalità e non aridamente come un affannoso adempimento volto a timbrare ogni giorno il cartellino della vita, fino a godersi in pieno anche quei dieci minuti necessari a far sì che i pancake preparati dalla premurosa Alice possano essere gustati nella loro fragranza, alla giusta temperatura.

Leo e Massimo Wertmüller (IO Donna)

Aronadio con sagacia evita un lieto fine in odor di melassa, sembra farci intendere che probabilmente la situazione familiare non andrà a superare il divorzio, rendendo intuibile, più concretamente, come Dante saprà infondere inedita linfa vitale anche nei riguardi dell’incresciosa situazione, recuperando un concreto rapporto con moglie e figlia. Andando a concludere, Era ora, pur nei limiti di un’opera derivata e nell’evidente meccanicità con la quale avalla l’incedere del paradosso temporale nel corso della narrazione e soprattutto la sua visualizzazione, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, riesce a travalicare compiutamente lo steccato del remake pigro, ad effetto copia-incolla, agitando, ma non sempre mescolando, gli ingredienti di un riuscito dramedy, senza gridare al miracolo ma lasciando ben nitida la sensazione propria “delle cose ben fatte”. A mio avviso avrebbe certo meritato una capillare distribuzione in sala, considerandone la potenzialità di smarcarsi dalle consuete proposte “pronto cuoci” con intelligenza ed opportuna inventiva. Ambedue le realizzazioni, l’italica e l’australiana, ma con maggiore pregnanza realistica la prima, offrono comunque concreta visualizzazione ad un noto aforisma attribuito a Confucio: “Abbiamo tutti due vite, la seconda ha inizio quando ti rendi conto di averne solo una”.

Barbara Ronchi (Sentieri Selvaggi)

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