Corea del Sud, tempi nostri, un anonimo condominio come tanti, in periferia. Qui vive Yoon-ju (Lee Sung-Jae), giovane ricercatore universitario, insieme alla moglie Eun-sil (Kim Ho-jung), impiegata, in attesa di un bambino. Nella coppia appare evidente una certa tensione, principalmente a causa delle frustrazioni patite dal marito, consapevole di come per potere ottenere un posto di professore associato all’interno dell’ateneo non bastino, purtroppo, merito, esperienza e competenza, in quanto si rivelerebbe certo più idonea allo scopo una corposa “bustarella” da elargire al titolare di cattedra. Insofferente agli abbai perpetrati dai cani presenti nello stabile, nonostante il divieto relativo al tenere animali domestici, il nostro sfogherà ben presto il suo rancore proprio nei riguardi delle povere bestiole, andando poi a scoprire come, sempre all’interno del palazzo, vi sia chi è interessato a loro per orridi fini alimentari. E così, mentre aumentano le denunce inerenti alla scomparsa dei cani, rivolte a Hyun-nam (Bae Doo-na), segretaria dell’amministratore di condominio, l’ignavo Yoon-ju, che sembra solo capace di esprimere astio verso tutto e tutti, un bel giorno vedrà rientrare la consorte con in braccio un costoso esemplare di barboncino, del quale dovrà necessariamente prendersi cura…
Esordio nei lungometraggi, datato 2000, del cineasta coreano Bong Joon – ho, anche autore della sceneggiatura insieme a Sohn Tae-Woon e Song Ji-Ho, Cane che abbaia non morde, il cui titolo originale in madre lingua è una ironica citazione del romanzo breve Il cane delle Fiandre (A Dog of Flanders, 1872, Marie Louise Ramé, nota con lo pseudonimo Ouida), verrà distribuito nelle sale italiane a partire da giovedì 27 aprile, in versione originale sottotitolata. Vincitore del Fipresci Prize all’Hong Kong International Film Festival nel 2001, il film contiene in sé i prodromi di tutti quegli elementi, stilistici e contenutivi, che andranno a caratterizzare le successive realizzazioni di Joon- ho, a partire dalla deflagrante miscelazione tra commedia, thriller e dramma nel dar vita ad un concreto e realistico j’accuse, permeato da un’amara ironia, nei riguardi della società coreana, il cui sistema freddamente capitalistico, volto certo ad un indispensabile progresso ma non ad un parallelo incremento migliorativo riguardo la qualità dei rapporti umani, ha fatto sì che si potesse ricorrere a qualsiasi mezzo, anche, se non soprattutto, illecito o comunque immorale, sia per assicurarsi la mera sopravvivenza, sia per conseguire un agognato avanzamento sociale. Un atto di accusa che assume la valenza di una parabola universale, attraversata da tonalità surreali e grottesche, contornata da un ritmo che alterna momenti frenetici ad altri più ponderati, dalla consistenza rarefatta e nebulosa, ma sempre idonei nel portare allo scoperto le marcescenti cancrene di distorte modalità esistenziali che si vorrebbero definire “civili”. In particolare nel corso della narrazione si viene a creare un efficace parallelismo tra le figure del ricercatore universitario e della segretaria, ambedue alla ricerca di un proprio posto nel mondo, possibilmente “definitivo”, ma per il tramite di diverse modalità.
Se il primo, infatti, non esiterà, appena ne avrà l’occasione, ad oliare gli ingranaggi di un sistema che se ne sbatte, pardon, della meritocrazia e considera la cultura nient’altro che una qualsiasi merce da porre sugli scaffali apponendogli un determinato prezzo, la seconda, invece, appare animata da un’intima e sincera sensibilità nel prodigarsi alla ricerca dei cani smarriti (assisterà, tra l’altro, ad una violenta eliminazione), anche nell’esternare una certa empatia nei confronti dei disperati proprietari. Il “premio” per le buone azioni consisterà però nella perdita dell’impiego e nel taglio di un’intervista possibile foriera di una certa notorietà, all’interno di un servizio giornalistico televisivo volto ad illustrare la soluzione, che l’ha vista protagonista, delle misteriose sparizioni. Hyun-nam verrà ripagata dalla possibilità di recarsi insieme ad una cara amica nei boschi, per una salutare passeggiata “a respirare aria buona”, quella desiderata da Yoon-ju ed ora negata (l’immagine di apertura è speculare a quella conclusiva), dazio da pagare per aver acconsentito al plagio della propria più intima essenza all’interno di un apparato sociale corrotto e corruttibile. Intorno ai due protagonisti gravitano poi altre figure certo interessanti, quali la moglie di Yoon-ju, che andrà a perdere il lavoro solo perché incinta e sarà protagonista di un atto di generosità nei confronti del marito, il quale l’aveva accusata di egoismo e superficialità nel portare un cane in casa, o il custode del palazzo e i suoi raccapriccianti gusti alimentari, ma anche un senzatetto che vive come un fantasma nei sotterranei, ognuno a farsi simbolo di un malcelato malessere sociale.
La regia di Joon- ho, riporto la mia primaria sensazione, si alimenta dei contrasti visivi tra interno ed esterno, velocità (la sequenza di un inseguimento in stile cartoon, lungo i corridoi balconati del condominio, assecondandone la linearità strutturale) e lentezza (la narrazione da parte del custode delle gesta dell’idraulico Boiler Kim contro corruzione e storture), inquadrature rigorose e spesso simboliche (vedi quelle inerenti alla rappresentazione della vita coniugale), primi piani e composizione di più eventi concatenati tra loro nella stessa ripresa, avvalendosi poi di una ricercata ed efficace sinergia con il montaggio (Lee Eun Soo) e le sonorità jazzistiche studiate da Jo Seong-woo. A volte ho avuto la percezione che la sceneggiatura fosse affollata di tante, troppe idee, con qualche cedimento in chiave di fluidità narrativa, ma credo rimanga intatto l’impatto proprio di un’amara parabola in forma di “umana commedia” sul destino di un’umanità sempre più incredula e smarrita, intenta a dar fuoco alle polveri della sua più che evidente sconfitta.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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