
Pubblico di seguito, riadattati in forma di articolo, i testi redatti dallo scrivente per la trasmissione Sunset Boulevard andata in onda ieri pomeriggio, martedì 1 agosto (replica sabato, ore 10) su Radio Gamma, con una scaletta incentrata sulle proiezioni previste nel corso di questa settimana all’interno della manifestazione cinematografica-musicale FilMuzik Arts Festival, la cui V Edizione, per la direzione artistica del regista Alberto Gatto, ha avuto inizio giovedì 20 luglio e proseguirà fino al 3 settembre nel giardino di Palazzo Amaduri a Gioiosa Ionica (RC).
Dallo scorso martedì, 18 luglio, infatti, la trasmissione radiofonica ospita la disamina dei film in proiezione al Festival, compresi quelli che sono stati selezionati nell’ambito delle opere pervenute, mentre al di fuori della consueta programmazione del martedì sarà trasmesso uno speciale, dedicato alle interviste con alcuni protagonisti della kermesse, come quella annessa all’articolo, che mi vede chiacchierare con Maria Pia Battaglia, interprete, autrice e regista teatrale, che a FilMuzik ha messo in scena l’intenso e coinvolgente monologo Di me ricorderai il telaio.
Un click (o un tocco col dito) qui per informazioni sul programma del Festival
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5/8, ore 22: Steps, Rebirth (dopo lo spettacolo dedicato ai bambini Bolle e luci, a cura dell’Associazione La Magia dei sogni, ore 20). Un monaco, che conduce vita solitaria in un convento, si dedica allo svolgimento di varie faccende quotidiane, come andare a prendere l’acqua al pozzo per innaffiare un alberello di limone, attività quest’ultima che sarà interrotta da una serie di richieste, quali la celebrazione di un funerale e poi di un matrimonio, ma anche da un invito a pranzo, finché non scenderà la sera…
Scritto e diretto da Tatiana e Marina Moskova, Steps è un cortometraggio di animazione tanto semplice nella sua resa visiva quanto piuttosto efficace relativamente al coinvolgimento emotivo cui riesce a dar vita nell’evidenziare, in primo luogo, come l’esistenza di ogni essere vivente sia legata, in modo vario ed eventuale, a quella di coloro che gli sono vicino, e poi che quanto spontaneamente elargito nell’ambito dei rapporti umani può trovare adeguata corresponsione in un rapporto di reciprocità: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7, 12).

Diretto e sceneggiato dal trio Alex Wand, Rayko e Frank Kilpatrick, Rebirth, cortometraggio d’animazione, si palesa alla visione come un’opera rivolta precipuamente ad un pubblico infantile nel suo dichiarato fine educativo, ovvero illustrare ai bambini, allestendo una suggestiva combinazione tra immagini e musica, i mutamenti climatici intercorrenti nel corso del ciclico avanzare delle quattro stagioni, ognuna di esse caratterizzata da uno specifico motivo musicale.
7/8 ore 22, Teatro Greco Romano a Marina di Gioiosa Ionica: If…Then…Now. La regista e sceneggiatrice Anne Kmetyko con il cortometraggio If…Then…Now mette in scena la storia del disegnatore Jacob, che ha perso la moglie Stella causa un violento tsunami abbattutosi sulla spiaggia mentre passeggiavano spensierati, ed ora vive tra ricordi ed immaginazione, tanto da intravedere nell’infermiera Midori le sembianze della consorte scomparsa.
Suffragando una particolare atmosfera rarefatta, come sospesa nel tempo e nello spazio, l’autrice offre visualizzazione ad una elaborazione del dolore che vede rincorrersi tra loro, invadendo i rispettivi ambiti, rimembranze in ordine sparso e la percezione della realtà vissuta e di quella desiderata, andando a delineare un tangibile senso di perpetuità al sentimento amoroso.
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Film biografico (2005) strutturato in base agli stilemi propri del dramedy e del musical, Walk The Line (3/8, ore 22), vede il regista James Mangold (anche sceneggiatore, insieme a Gill Dennis) visualizzare in scena le fasi salienti della vita del poliedrico e tormentato cantante americano Johnny Cash, interpretato col consueto piglio camaleontico da Joaquin Phoenix, rinvenendo quali fonti basilari i libri Man In Black (autore lo stesso Cash) e Cash: An Autobiography (sempre opera di Cash, insieme a Patrick Carr), soffermandosi in particolare sulla storia d’amore con la cantante June Carter (Reese Witherspoon), che sarà la sua seconda moglie una volta divorziato da Vivian (Ginnifer Goodwin), la quale, coltivando convenzionali aspirazioni borghesi, si dimostrava avvezza a tarpargli le ali, mentre June, pur nell’ergersi di vibranti contrasti caratteriali, andava a palesarsi come sua musa ispiratrice e salvifica.
Asse portante della narrazione è però anche il rapporto, basato sul reciproco conflitto, tra Cash e il padre Ray ( Robert Patrick), con un astio che si andava ad acuire dopo la morte di Jack, il fratello più grande, causa un incidente con una sega circolare, mentre John si era recato a pescare.
E proprio la visione da parte del nostro di un identico strumento da lavoro in un laboratorio all’interno del carcere di Folson, 1968, dove da lì a poco terrà quello che si rivelerà un memorabile concerto, darà il via al fluire dei ricordi, dalla vita in fattoria a Dyess, Arkansas, negli anni ’40, aiutando la famiglia nella raccolta del cotone al citato incidente cui andò incontro il fratello, passando per l’arruolamento nell’aviazione, 1950, di stanza in Germania Ovest, dove acquistava una chitarra, imparando a suonarla e dedicandosi alla scrittura di qualche canzone, fino al matrimonio con Vivian e il trasferimento a Memphis, esercitando il mestiere di venditore porta a porta.
Il mai sopito trasporto per la musica lo porterà presto a chiedere un’audizione a Sam Phillips, proprietario della Sun Record, che lo indirizzerà verso il genere di canzone a lui più congeniale e lo coinvolgerà in una tournée come Johnny Cash and the Tennessee Two, che vede partecipare anche Jerry Lee Lewis, Elvis Presley e June Carter, della quale Cash si innamorerà, venendo però inizialmente respinto, una delusione amorosa che, congiunta ai rancori familiari e al mantenimento della subitanea fama con una serie di esibizioni una dietro l’altra, ne comporterà presto la discesa verso gli inferi della dipendenza da alcool e anfetamine…
La regia solidamente classica di Mangold, attenta a valorizzare le interpretazioni attoriali e a caratterizzare adeguatamente situazioni e accadimenti, così come l’incedere dei vari brani musicali, vanno a creare una sorta di fronte comune nell’offrire ad un biopic dalla struttura piuttosto convenzionale una certa vivacità all’incedere narrativo.
Se il sempre bravo Phoenix, che si prodiga anche nelle esecuzioni canore, nel prendere sulle proprie spalle il personaggio di Cash sembra seguire il catalogo di prammatica nel dare adito alle fasi relative ad ascesa, caduta e risalita cui nessun artista sembra poter sfuggire, degna di nota, almeno a mio avviso, è quella resa da Reese Witherspoon nel dare corpo e anima alla figura di June, rimarcandone il carattere forte e determinato, capace di andare oltre le convenzioni sociali del tempo, pur nella rappresa sofferenza, prodigandosi nel far rigare dritto (walk the line) l’uomo nei cui confronti ha finalmente assunto la consapevolezza di amare.
In conclusione, Walk The Line intrattiene e coinvolge in virtù della sua classicità, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, anche se probabilmente, credo sia un pensiero già espresso da molti, un artista del calibro di Cash avrebbe meritato una caratterizzazione più in linea con la sua tormentata aura “tormento ed estasi”, quell’alternanza scomposta tra dolore, senso di disperazione e propensione a un non facile riscatto, risultante dalle sue canzoni e leitmotiv della propria vita.
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Produzione francese/belga/lussemburghese del 2012, Ernest & Celestine (6/8, ore 22, dopo la proiezione di Steps e Rebirth) vede alla regia Stéphane Aubier, Vincent Patar e Benjamin Renner, mentre la sceneggiatura porta la firma di Daniel Pennac, il quale si è basato sull’omonima serie di libri per bambini opera della disegnatrice belga Gabrielle Vincent.
Un’opera che credo ben rappresenti, tanto dal punto di vista visivo che contenutistico, uno dei concreti esempi di come un film d’animazione possa piacevolmente e concretamente prendere le distanze dalla consueta produzione di genere, per lo più in mano ai “soliti noti”, andando ad impostare, per il tramite del ricorso nei disegni all’acquerello, che sembrano prendere vita “qui e ora” ponendo spesso in primo piano i personaggi su di uno sfondo bianco (a caratterizzare l’esclusività di determinate situazioni o esternazioni affettive, almeno a parere di chi scrive), un racconto di formazione contornato dalle tematiche inerenti una diversità uguagliatrice, valorizzante e non scriminante nel rendere una paritaria integrazione tra due differenti realtà sociali.
Di rilievo anche la tematica relativa all’autodeterminazione nel perseguire il proprio percorso esistenziale. Si offre dunque congrua sostanza ad una morale di fondo che ha il respiro proprio della “bella fiaba”, coinvolgendo bambini e adulti inclini a ridimensionarsi come tali, dando ascolto, una volta tanto, a quel fanciullino di pascoliana memoria nascosto in qualche recondito anfratto della propria anima e fin troppo spesso soffocato dai miasmi dell’ordinaria quotidianità.
Ecco la storia: in una cittadina da qualche parte nel mondo vige una vera e propria divisione tra quanti vivono “normalmente” nella parte superiore, ovvero la comunità degli orsi, dediti a varie attività tra lavoro e famiglia, e coloro che invece abitano nel sottosuolo, la società dei topi, anch’essi intenti in numerose mansioni. Tra queste risulta predominante il lavoro di dentista, considerando come squadre di topolini vengano inviate nottetempo nella città soprastante a raccogliere i denti caduti agli orsetti, ai quali i genitori hanno raccontato per l’appunto che “il topino dei denti” passerà a prenderli, lasciando in dono una moneta.
Quanto prelevato, in realtà, sarà destinato a rimpiazzare gli incisivi dei roditori consunti dal ripetuto uso e a tale compito è indirizzata anche l’orfanella Celestine, costretta a rinnegare le proprie attitudini artistiche.
Non otterrà però risultati soddisfacenti, andando poi a stringere amicizia con l’orso Ernest, musicista girovago perennemente affamato, tanto simile al “grande orso cattivo”, protagonista delle fiabe narrate dall’istitutrice dell’orfanotrofio in cui la topina viveva quando era bambina… Valido il doppiaggio italiano che, limitandoci ai due protagonisti, vede Claudio Bisio doppiare Ernest ed Alba Rohrwacher Celestine, in luogo degli originali Lambert Wilson e Pauline Brunner.
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Presentato nella sezione Berlinale Special al 71mo Festival di Berlino e vincitore del Nastro d’Argento 2022 come Miglior Documentario (Categoria Cultura/Cinema/ Spettacoli), Per Lucio (7/8, ore 22, dopo la proiezione di If…Then…Now, Teatro Greco Romano a Marina di Gioiosa Ionica) diretto da Pietro Marcello, anche autore della sceneggiatura insieme a Marcello Anselmo, offre un ritratto del compianto cantautore bolognese Lucio Dalla che, fortunatamente, rifugge dalla consueta biografia celebrativa, puntando piuttosto a farne emergere, attraverso i racconti del manager Tobia e del filosofo Stefano Bonaga, amico d’infanzia, la vivida umanità che gli era propria e di come questa andasse a conciliarsi con l’istintivo talento ed una genialità propensa ad affermare la libertà da qualsivoglia schema o convenzione, fino ad acquisire poi una maggiore profondità nei testi, tra toni elegiaci ed immaginazione, grazie in particolare all’incontro con il poeta Roberto Roversi, anch’esso bolognese, che ne affinò la capacità di scrittura.
Quest’ultima si rivelò preziosa quando Dalla decise di proseguire da solo, lanciando uno sguardo ora più disincantato ed ironico verso quell’Italia che andava modernizzandosi a prezzo di varie storture, offerte, tra l’altro, dal repentino passaggio da una società contadina a quella fortemente industrializzata, con il boom economico a chiedere presto il conto per l’aver concesso la grazia di un improvviso ed impostato benessere, in nome di un progresso materiale inteso ad imporre un distorto criterio d’eguaglianza basato sulla potenzialità d’acquisto.
La felice intuizione di Marcello si sostanzia infatti nel rendere alcune canzoni di Dalla colonna sonora di determinati eventi propri del nostro paese, dal dopoguerra agli anni ’90, la citata industrializzazione, le automobili quale dominante mezzo di trasporto, l’emigrazione verso l’Europa, la crisi generale delle ideologie dopo la caduta dei muri, materiali e non, pur nel perdurare dei conflitti, l’indifferenza esternata da un’umanità indolente e stordita nella ostentata materialità, andando a creare un felice intarsio con immagini di repertorio, filmati d’epoca o d’archivio.
Ecco allora emergere l’eclettismo, congiunto a un certo istrionismo di fondo, di un uomo attivo sulla scena musicale italiana da cinquant’anni, dagli inizi jazzistici (clarinetto e sassofono) al coinvolgimento relativo a vari generi musicali, quali il beat (tra il ’64 e il ’72), per poi stringere la citata collaborazione con il poeta Roversi (dal ’73 al ’76) ed arrivare così alla definitiva affermazione in qualità di autore completo (‘77-‘93), sino alla fase pop degli ultimi anni, sempre incline, comunque, a superare le classiche barriere del genere in virtù di continue sperimentazioni, spesso divertite ancor prima che divertenti, volte ad estenderne i confini verso la classica melodia “all’italiana” e la lirica, nell’ideale congiunzione tra autorialità e popolarità.






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