
Italia, Porto La Spezia, 29 settembre 1940. Un plotone è in marcia sulla banchina, al ritmo di Un’ora sola ti vorrei, mutuata nella declamazione in un insolito ritmo marziale dal comandante Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino). Sono militi della Regia Marina, a breve si imbarcheranno sul sommergibile Cappellini, in adempimento della missione loro demandata, Agguato, che li porterà, una volta superato lo Stretto di Gibilterra, in pieno Oceano Atlantico.
Probabilmente saranno in pochi, se non nessuno, a fare ritorno, lo sanno le donne con cui hanno trascorso un’ultima notte d’amore e ne è consapevole lo stesso Todaro, il quale anni addietro, dopo una lesione alla colonna vertebrale subita nel corso di un’esercitazione a bordo di un idrovolante, ha rinunciato al congedo illimitato e alla pensione d’invalidità, contrariamente alle aspettative della moglie Rina (Silvia D’Amico), che già pensava ad una casa in campagna, dove crescere in tranquillità i loro figli.
Soffre il comandante, costretto in quel busto che dovrà indossare vita natural durante, ma più che dalla morfina il dolore è affievolito dall’orgoglio militare e da un rigoroso senso del dovere. Non manca poi d’infondere coraggio e un minimo di speranza ai suoi uomini, giovani di diversa estrazione sociale e differente provenienza regionale.
Il primo a perire sarà Vincenzo Stumpo (Gianluca Di Gennaro), corallaro di Torre del Greco, che sacrificherà la sua vita per liberare il sommergibile dalle mine nei pressi delle Colonne d’Ercole, poi toccherà a Danilo Stiepovich (Arturo Muselli), una volta risposto al fuoco del mercantile belga Kabalo, che viaggiava a luci spente, trasportante, si saprà in seguito, materiale bellico per gli inglesi.
Affondata l’imbarcazione, Todaro darà l’ordine di far salire a bordo i 26 superstiti, così da provvedere a condurli a Santa Maria delle Azzorre, esponendo il Cappellini all’attacco nemico, costretto a navigare in superficie per tre giorni…
Film d’apertura, in concorso, alla 80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Comandante vede alla regia Edoardo De Angelis, anche autore della sceneggiatura insieme a Sandro Veronesi, e si basa su un episodio bellico realmente accaduto. Un’opera che va a sostanziarsi nel corso della visione, riporto come al solito la precipua sensazione avvertita, non tanto, o non solo, come una pellicola di guerra classicamente intesa.
La narrazione, infatti, teatralizzata all’interno di uno spazio chiuso quale paradigmatico microcosmo, tende piuttosto a porre in evidenza l’esternazione di ogni possibile atteggiamento umano nei riguardi di un qualsivoglia conflitto in cui si trovano contrapposti “uomini dello stesso identico umore, ma con la divisa di un altro colore”, citando e adattando i versi di Fabrizio De André (La guerra di Piero).
La decisione assunta da Todaro, sulla base della legge del mare, che rende tutti uguali, scaturisce da una definitiva presa di coscienza, seguire il proprio cuore e l’istintività solidaristica dei rapporti umani, coltivando quegli scampoli di compassione che vanno a costituire la “grande illusione” inerente alla consapevolezza di potersi ritenere tutti accomunati sotto lo stesso cielo, andando a mitigare il “senza se e senza ma” delle azioni militari: “il ferro lo affondiamo, ma l’uomo lo salviamo”.
Comandante si avvale dell’intensa interpretazione di Favino, che coglie del personaggio ogni sfumatura ed ambiguità caratteriale, nonché quella intima spiritualità che gli era propria, consentendogli una sorta di preveggenza riguardo condizioni umane o strategie del nemico (infatti i suoi uomini lo avevano soprannominato “Mago Baku”), ma tutto il resto del cast riesce a dare prova di valide caratterizzazioni, anche considerando come si sia data congrua rilevanza ai dialoghi, spesso in anticipo sulle immagini, rimarcando poi le differenze di parlata conseguenti all’uso dei diversi dialetti, così da evidenziare quel crogiolo di diversità messo insieme dall’evenienza bellica.
La regia sembra prediligere inquadrature statiche, a camera fissa, nella parte precedente l’imbarco a La Spezia, probabilmente a simboleggiare un’analoga rigorosità dell’andamento esistenziale, che verrà da lì a poco sconvolto con l’avvio della missione, per cui all’interno del sommergibile le inquadrature appaiono più fluide e la macchina a mano è letteralmente incollata a volti e corpi.
Notevole il lavoro su fotografia (Ferran Parades Rubio), che predilige toni plumbei e “ferrosi”, scenografia (Carmine Guarino) e, soprattutto, sound design (Mirko Perri), con il rumore dei motori del Cappellini a scandire il ritmo narrativo, in sintonia col battito cardiaco e le varie emozionalità che andranno a manifestarsi nel suo spazio ristretto, così come dei pensieri che prendono vita nel caratterizzare determinate situazioni, prevalendo nella loro pregnanza sull’immagine in sé e per sé considerata.
Certo, a volte la retorica te la ritrovi dietro l’angolo, ma la si può ritenere di prammatica, anche considerando come, sempre a parer mio, non siamo di fronte ad un film che inneggia al tronfio nazionalismo o all’eroismo da propaganda, bensì volto a manifestare un sotteso apologo morale, indicante la via per potersi considerare definitivamente e concretamente umani, rispondendo alle leggi non scritte, scaturenti da una immedesimazione non sempre generativa di corresponsione (“Fai il bene e dimentica”), ma comunque derivante da un moto d’animo sincero nel vedere nell’altro una proiezione di sé, nella comunanza d’identico destino nel recitare il copione della vita, continuando a credere nell’intima bontà dell’uomo, come scriveva Anna Frank nel suo Diario.
Un’opera figurativamente di genere, idonea a travalicarlo dal punto di vista del contenuto, quest’ultimo adeguatamente supportato da un buon lavoro di scrittura e dalle valide prove recitative, come già scritto nel corso dell’articolo. Un film da vedere, anche solo per discuterne, che ritengo evidenzi, insieme a tante altre recenti realizzazioni, una rinnovata volontà del nostro cinema di venir fuori dalle secche dell’intrattenimento “pronto cuoci”, per offrire al pubblico delle storie ben definite e strutturate, pregevoli anche sotto l’aspetto meramente tecnico.
Immagine di copertina: Movieplayer






Lascia un commento