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Presentato lo scorso 22 gennaio al Trieste Film Festival, dopo l’anteprima mondiale al Tribeca Film Festival, Family Therapy, selezionato dalla Slovenia per concorrere ai 97esimi Academy Awards®, vede Sonja Prosenc, regista e sceneggiatrice, mettere in scena una satira dai contorni grotteschi, combinando ironia e tragicità sullo sfondo di un’atmosfera da thriller, quest’ultima esaltata dalla combinazione sinergica tra fotografia (Mitja Licen) e scenografia (Tatjana Čanić Stankoviće), ma soprattutto dall’incedere della colonna sonora opera del duo Silence (Primož Hladnik e Boris Benko), che alterna, nel sottolineare determinate sequenze o atteggiamenti dei personaggi,  le note vibranti degli archi a quelle suadenti delle musiche di Vivaldi ed Henry Purchell. La narrazione è suddivisa in tre capitoli,  Welcome, Uncharted Territories, The Chosen Ones, e prende il via con la visione di una vecchia auto in panne sul ciglio della strada.

I suoi tre occupanti, un uomo, una donna ed un bambino, sono costretti a chiedere un passaggio per raggiungere il paese. Accanto a loro sfreccia silenziosa una moderna vettura elettrica, senza fermarsi. A bordo vi è l’agiata famiglia  Kralj, Aleksander (Marko Mandić ), sua moglie Olivia (Katarina Stegnar), la loro figlia adolescente Agata (Mila Bezjak) e un giovane francese, Julien (Aliocha Schneider), 25 anni, che i tre sono appena andati a prendere all’aeroporto, frutto di una relazione giovanile di Aleksander. I Kralj abitano all’interno di un bosco, in una casa modernamente stilizzata, che prevede un’architettura prevalentemente in vetro, così da poter osservare quanto li circonda senza prendere contatto più di tanto con l’ambiente esterno, quel mondo da cui intendono mantenere le distanze e dal quale forse si sentono minacciati, potendo attentare con le sue problematiche a quella perfezione tanto anelata e metterne a rischio la “plutocratica sicumera” da bravi parvenu.

Ne sa qualcosa Agata, costretta a studiare online dopo essere stata colpita dalla leucemia, mentre la madre si fa scudo con la sua attività artistica (è pittrice e titolare di una galleria) e il padre, un passato da albergatore di successo e un presente da scrittore precario, sogna di andare nello spazio con la famiglia perfetta. Ma l’arrivo di Julien, indole proletaria poco avvezza ai formalismi, andrà presto a costituire una vera e propria cartina di tornasole nel portare alla luce ogni scheletro nell’armadio della pregiata cristalliera, incrinandone le pareti, a partire dall’ospitalità elargita ai tre individui, forse migranti o rifugiati, che avevano chiesto loro un passaggio ed ora, all’approssimarsi della notte, bussano alla porta…

Come già fatto notare, tra gli altri, da Variety,  Prosenc nel dare sostanza scenica a Family Therapy prende ispirazione da vari lavori cinematografici (come Teorema, Pier Paolo Pasolini, 1968), visualizzando, per il tramite di un acre umorismo, la figura di un “angelo sterminatore”, il giovane Julien, la cui presenza è intesa ad aggiungere gradualmente i tasselli di un puzzle che andrà a raffigurare la disgregazione, morale in primo luogo, di una famiglia che si è autoproclamata “regale” nel suo ergersi al di sopra di tutto e di tutti. Si è imposta, inoltre, determinati parametri esistenziali volti ad un’asettica perfezione, tutta esteriore, basata essenzialmente sul possesso di beni materiali, a partire dal danaro e tutto ciò che permetta di comprare, valori umani inclusi e al netto di optional.

La narrazione evidenzia, almeno a parer mio, qualche scricchiolo nell’ambito della sceneggiatura mano a mano che vira dalla commedia nera al dramma, con l’installazione di vari simbolismi, ora plateali, ora oscuri (gli spari avvertibili nel bosco, le tanto temute minacce esterne; l’apparire di un cerbiatto, anche nel finale, forse metafora di una ritrovato ed autentico senso di grazia e bellezza). Arrivano comunque in soccorso i puntellamenti offerti dai contributi tecnici di cui si è scritto sopra e dalle eccellenti rese interpretative di tutto il cast (in particolare Marko Mandić, il cui sguardo si fa sempre più allucinato nel vagheggiare la famiglia perfetta e constatare infine la disgregazione dei propri assunti).

Nel finale appare evidente come l’anelato nucleo familiare perfetto non possa rappresentare nient’altro che  un ideale di comodo ove latitino l’affetto e l’intendimento, il dialogo e lo stimolo a venirsi incontro, oppure, se presenti, si rivelino propensi ad assumere le sembianze proprie di una funzionale esteriorità ad uso e consumo dell’ordine sociale inerente al “buon nido borghese”. In fondo, parafrasando quanto Tolstoj scriveva nella prefazione di Anna Karenina, tutte le famiglie perfette si somigliano, quelle imperfette si differenziano per essere necessariamente felici a modo loro.

Immagine di copertina: Katarina Stegnar, Marko Mandić,  Mila Bezjak, Aliocha Schneider (Ufficio Stampa)

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