
Due anni dopo Public Access, 1993, suo esordio nei lungometraggi e vincitore del Premio Speciale della Giuria al Sundance Film Festival e del Premio Critics Awards al Festival du cinéma américain de Deauville, Bryan Singer andò a confermare le doti di regista geniale ed eclettico con The Usual Suspects, rivitalizzando ed adeguando agli anni ‘90 il genere noir, innestandovi i toni propri del thriller e del film d’azione, con il contorno di una sottile ironia. L’ottima sceneggiatura di Christopher McQuarrie delinea una trama certo suggestiva ma alquanto intricata, un mosaico le cui tessere sono costituite da differenti piani temporali ma anche da diverse visioni della verità ad essi inerenti, considerando che nel loro intersecarsi vanno di volta in volta ad aggiungere qualche particolare inedito, ma anche a capovolgere o negare quanto in precedenza assunto, mentre dialoghi e colpi di scena si succedono alternando condensazione e diluizione.
L’incipit è dato, con piglio cronachistico, dalla didascalia “la scorsa notte”, quando a San Pedro, California, a bordo di una nave, il cui equipaggio era stato fatto fuori, un certo Dean Keaton (Gabriel Byrne) veniva freddato da un misterioso individuo, il quale subito dopo appiccava il fuoco, provocando da lì a poco l’esplosione dell’imbarcazione. Si salvavano un ungherese, ricoverato in ospedale con ustioni in buona parte del corpo, che, terrorizzato, ora urla il nome di tale Keyser Söze, indicandolo come responsabile dell’accaduto, e Roger Verbal Kint (Kevin Spacey), menomato da una paralisi cerebrale infantile, praticamente inoffensivo, loquacità a parte, cui deve il soprannome.
Quest’ultimo, messo sotto torchio dall’agente doganale Dave Kujan (Chazz Palminteri), inizia una narrazione a ritroso, andando indietro con la memoria a sei settimane prima, quando a New York si trovò coinvolto in un confronto all’americana con altre quattro persone, il sopra citato Keaton, ex poliziotto corrotto, l’esperto in rapine Michael McManus (Stephen Baldwin), il suo socio Fred Fenster (Benicio del Toro), lo specialista in esplosivi Todd Hockney (Kevin Pollak)…
The Usual Suspects, titolo che richiama quello omonimo di una rubrica all’interno della rivista statunitense Spy e riprende al contempo una delle battute più celebri del cult Casablanca (“Arrestate i soliti sospetti”, la pronunciava Claude Rains nei panni dell’ispettore Renault, due volte, la seconda per salvare l’ormai amico Rick Blaine, Humphrey Bogart), si rivela a tutt’oggi una realizzazione narrativamente intrigante, grazie al brillante lavoro di scrittura, così come visivamente affascinante, in virtù della tecnica registica profusa da Singer nel darvi visualizzazione, un ragionato agitarsi tra primi piani frontali, visioni in soggettiva, scene d’azione felicemente congegnate, nel susseguirsi inoltre di angolazioni particolari di ripresa nonché di inquadrature inerenti a dettagli tanto decisivi quanto fuorvianti nel cercare di sbrogliare l’ingarbugliata matassa.
Da non sottovalutare, ovviamente, le pregevoli interpretazioni attoriali dell’intero cast, anche se personalmente a restarmi impresse sono state quelle rese da Gabriel Byrne nei panni di Keaton, i cui tormenti e arrovellamenti interiori sono evidenti già dallo sguardo, e, soprattutto, da un superlativo Kevin Spacey che offre con naturalezza al personaggio di Verbal una sottesa malia, sinistra ed enigmatica. Degna di nota anche la caratterizzazione delineata da Chazz Palminteri, il cui agente Kujan rappresenta l’elemento razionale, colui che si prodiga nel ricercare un qualche elemento che possa conferire una solida plausibilità a quanto viene raccontato da Verbal, sia nei propri riguardi sia nei confronti degli spettatori, che divengono così “complici” nella narrazione.
Infatti, almeno a mio parere, la valenza propria di The Usual Suspects si gioca, più che su di una concreta forza empatica inerente alla struttura drammaturgica nel suo complesso, proprio nell’ambito della curiosità che si insinua progressivamente nel pubblico, portato ad interrogarsi se quanto è dato vedere, e ascoltare, possa ritenersi veritiero o meno. I rimandi cinefili sono numerosi, a partire da quelli, per stessa ammissione dell’autore, inerenti a Double Indemnity (Billy Wilder, 1944), Rashomon (Akira Kurosawa, 1950) e Citizen Kane (Orson Welles, 1941).
Finale particolarmente riuscito, anche se forse non così sorprendente per i più scafati, quando il personaggio di Keyser Söze, per quanto non si giunga propriamente alla sua personificazione, si eleverà ad una dimensione di reale e mefistofelica presenza, perché “la beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste”, conferendo così al film un sottile ma pregnante tono esistenziale sul persistere del Male a circuire l’ordinarietà quotidiana. Viene inoltre rimarcato quanto possano essere sfalsati i piani tra verità e menzogna, se non addirittura sovrapponibili, nel gioco a rimpiattino tra la realtà dell’immaginazione e l’immaginazione della realtà. The Usual Suspects conseguì due premi Oscar, per la Miglior Sceneggiatura Originale, Christopher McQuarrie, e quello per il Miglior Attore non Protagonista, Kevin Spacey.
Pubblicato su Diari di Cineclub N. 134- Gennaio 2025–Immagine di copertina: Kevin Spacey, Movieplayer






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