
Francia, Costa Azzurra, anni ‘50. Il susseguirsi di tutta una serie di furti a danno di ricchi turisti, preziosi gioielli trafugati durante la notte senza colpo ferire, fa sì che la polizia, considerandone la tecnica esecutiva, giunga alla conclusione che l’autore possa essere il celebre ladro John Robie, detto “The Cat” (Cary Grant), tornato in attività dopo tanto tempo. In realtà John, che gode della libertà condizionata dopo aver preso parte al movimento della Resistenza nel corso della II Guerra Mondiale, vive tranquillo nella sua villa in collina, dedicandosi alla coltivazione di vigneti e fiori. Intenzionato a dimostrare la propria innocenza, messa in dubbio anche dai suoi ex compagni di lotta, il nostro chiede la collaborazione dell’agente assicurativo dei Lloyd’s di Londra H. H. Hugson (John Williams), il quale gli fornirà una lista delle persone più facoltose in vacanza nel territorio della Côte.
Tra queste, ecco l’affascinante ereditiera americana Frances Stevens(Grace Kelly), in compagnia dell’ eccentrica madre (Jessie Royce Landis), alle quali Robie si presenterà sotto mentite spoglie. La copertura però non servirà a proteggerlo dai pressanti approcci ben presto esternati dalla fanciulla, così come da certe insinuazioni avanzate da Danielle Foussard (Brigitte Auber), figlia di un suo ex “collega”… Alfred Hitchcock definiva Caccia al ladro “una storia piuttosto leggera” e credo si possa essere d’accordo al riguardo, andandovi ad aggiungere, personale opinione, la connotazione propria di un raffinato divertissement, considerando come la levità vada a coniugarsi con una ben dosata sapidità.
Quest’ultima scaturisce tanto da una rimarchevole eleganza visiva e formale, plasmata da un’ attenta mescolanza di riprese dal vero e sequenze girate in studio (eccellente la fotografia in Technicolor e Vistavision di Robert Burks, premiata con l’Oscar), quanto da un lavoro di scrittura che offre dialoghi pregni di sottile ironia e sottintesi sessuali (la sceneggiatura venne scritta da John M. Hayes, adattando l’omonimo romanzo di David Doge, 1951). La sagacia profusa da Sir Alfred sta nello sfruttare magistralmente i citati elementi per irretire gli spettatori, sovrapponendoli ad altri tipici delle sue opere, dal tema dell’uomo accusato ingiustamente e che deve lottare per dimostrare la propria estraneità ai fatti, all’idea a lui cara del “sesso sottotraccia”.
Nel corso della narrazione l’effetto sorpresa prevale sulla suspense propriamente detta, dando vita ad un cocktail, “agitato, non mescolato” tra commedia sofisticata ( il pensiero va a Lubitsch, nella rappresentazione di certi ambienti aristocratici) e giallo/thriller. Tra scontri, inseguimenti a piedi, sui tetti o in auto (da brividi quello che, reso in soggettiva, vede la Citroën Traction Avant della Gendarmerie inseguire sugli stretti tornanti della Moyenne Corniche la Sumbeam Alpine guidata da Frances, con a bordo Robie), To Catch a Thief si snoda in un intrigante gioco, basato sullo scambio di ruoli, fra cacciatore e preda. Riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, la tensione narrativa va a sostanziarsi non tanto, o non solo, su chi possa essere il vero autore dei furti o se e come verrà catturato, ma sulle modalità seduttive messe in campo da Frances.
Figurarsi se John, un impagabile Cary Grant, sornione e charmant, con quell’aria da uomo di mondo che ne ha viste tante, si lascerà irretire da un’ereditiera capricciosa e viziata … Destino vuole, però, che la donna in questione abbia le fattezze di Grace Kelly, scintillanti capelli biondi pettinati impeccabilmente, camminata statuaria valorizzata da altrettanto impeccabili vestiti (i costumi furono disegnati da Edith Head), altera, aristocratica, incline però a slanci improvvisi, come quando trascina “The Cat”, che l’ha accompagnata fino alla porta della sua camera, verso di sé per baciarlo, un gesto il cui solo significato attribuibile è quello proprio di un genuino trasporto erotico.
Siamo di fronte, come già notato da molti, ad una modalità insolita e suggestiva di visualizzare la fascinazione sessuale sullo schermo, che trova sublimazione nella famosa scena dei fuochi d’artificio: Frances e John soli nella stanza, lei lo invita ad impossessarsi dei suoi gioielli (allusione insistita e sottile), indicando una preziosa collana, lui si avvicina con il consueto atteggiamento di chi è capitato lì per caso ed ecco esplodere in rapida alternanza baci infuocati e giochi pirotecnici sullo sfondo…L’humour hitchcockiano, dissacrante e sardonico, andrà poi a caratterizzare un altrimenti scontato lieto fine: il vero ladro è oramai nelle mani della polizia, John, che ha contributo alla cattura, ha fatto ritorno nella sua villa, inseguito ancora una volta da Frances.
Tutto sembra volgere a un cordiale arrivederci, ma in realtà ciò che si delinea è la resa definitiva di colui che si riteneva un lupo solitario, con la donna raggiante a guardarsi intorno, esclamando infine, tra un bacio e un abbraccio ad alto tasso di sensualità, “E così è qui che vivi. A maman piacerà molto…” . Ora sì che la caccia al ladro può dirsi definitivamente conclusa…
Rielaborazione ed approfondimento di un mio articolo pubblicato il 13/10/2011, dopo la visione, lunedì 22 dicembre, della versione restaurata e in lingua originale, al Cinema Modernissimo di Bologna. Immagine di copertina: Grace Kelly e Cary Grant (Screenshot del trailer, Pubblico dominio, via Wikimedia Commons)





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