50 anni fa, il 20 giugno del 1975… l’avanzare minaccioso di una grossa pinna grigia a spezzare l’azzurro dell’oceano, la tensione che trovava accondiscendenza in un motivo sonoro cupo e minaccioso propenso a crescere d’intensità, un’avvincente mescolanza di thriller ed avventura…nelle sale americane veniva proiettato l’adattamento del romanzo Jaws di Peter Benchley, diretto da Steven Spielberg, “fauci”… la forza violenta della natura pone l’essere umano a confronto con la caducità della propria esistenza, mentre l’idea del profitto ad ogni costo fagocita ogni scampolo d’umanità…

Isola di Amity, località balneare  del New England, Stati Uniti d’America, anni ‘70. Durante una festa notturna sulla spiaggia una ragazza si allontana dal gruppo per un tuffo in mare. Nuota tranquilla e sicura, sempre più al largo, fino a raggiungere una boa di segnalazione. Non ha potuto certo notare di come vi sia  un’altra presenza in acqua, “qualcosa” che la strattona violentemente dal basso e che, tra le sue urla strazianti, le squassa il corpo, trascinandola nel buio dell’oceano, tinteggiato da una scia schiumosa di sangue. Il mattino dopo, un amico, preoccupato per la sua scomparsa, decide di rivolgersi alla polizia del posto, rappresentata dallo sceriffo Brody (Roy Scheider). Un agente, nel corso di una perlustrazione del tratto di spiaggia prossimo al luogo di svolgimento della festa, farà una macabra scoperta, il mare ha riversato sulla battigia quel che resta della donna. 

Il medico legale, nello stilare il referto, afferma che si tratta probabilmente dell’ attacco di uno squalo, eventualità che porta Brody alla decisione di vietare la balneazione. Ma il sindaco Vaughn (Murray Hamilton), al pari dell’intera comunità, non è dello stesso avviso: considerando come si sia oramai prossimi alla stagione turistica, gli affari dell’isola andrebbero in malora. Ecco allora il medico cambiare versione, potrebbe essere stata l’elica del motore di una barca a fare scempio del corpo della ragazza. Dovranno succedersi altri agguati mortali, come quello ai danni di un ragazzino, per far sì che si organizzi la caccia al “mostro”, in particolare dopo il consulto espresso dall’esperto biologo dell’Istituto Oceanografico Matt Hooper (Richard Dreyfuss) e l’ingaggio dello scafato pescatore Quint (Robert Shaw), che accetterà a malincuore a bordo della sua imbarcazione Orca lo sceriffo e il citato Hooper…

Tratto dall’omonimo romanzo di Peter Benchley (1974), autore della sceneggiatura insieme a Carl Gottlieb, Jaws rappresenta tanto l’archetipo del blockbuster estivo quanto un emblematico esempio di come il movimento della New Hollywood andasse a portare nuova linfa vitale ai generi cinematografici. Stando a varie fonti, fu proprio questo film a far sì che le grandi major tornassero ad investire  in produzioni dai budget sempre più elevati e dai sicuri incassi, puntando su intrattenimento ed autorialità. Tra i Movie Brats, quegli autori che contribuirono alla nascita del sopra citato movimento sostenendo la personale onda creativa,  anticonformista e refrattaria ad ogni possibile etichettatura, va incluso anche Steven Spielberg, regista di Jaws, il quale iniziò a farsi notare dopo che un suo cortometraggio, Amblin, 1969, vinse vari premi ai festival di Venice e di Atlanta.

La Universal gli offrì allora un contratto per la propria sezione televisiva, grazie al quale Spielberg girò tre lungometraggi, dei quali  il più noto è Duel, 1971,  il cui grande successo di critica portò tre anni dopo alla distribuzione in sala di una versione estesa. La storia di un automobilista braccato da un camion di cui non vediamo mai il guidatore, contiene già elementi propri della sua filmografia: senso dello spettacolo, capacità di tenere viva la tensione, il male che irrompe nella vita dell’uomo comune e ne mina ogni certezza esistenziale, ponendolo di fronte alle sue paure più recondite. Dopo The Sugarland Express, 1974, andò dunque a cimentarsi con Jaws, primo grande film girato in mare aperto, Martha’s Vineyard fu la principale location, e il cui fondo a disposizione andò presto ad esaurirsi, in particolare a causa dei ripetuti malfunzionamenti che affliggevano gli squali meccanici (gli effetti speciali furono curati da Bob Mattey).

Di necessità virtù, come si suole dire, in quanto Spielberg, probabilmente rammentando Duel, rese “fantasmatica” la presenza del predatore marino, incrementando l’acme della suspense in virtù di riprese in soggettiva  (ispirate in particolare, come già notato da molti, a quelle presenti in  Creature from the Black Lagoon, 1954, Jack Arnold), mentre la sua presenza viene fatta intuire dall’inconfondibile musica in crescendo composta da John Williams, per poi apparire nel suo sinistro fascino all’improvviso, durante la caccia in mare aperto, facendo esclamare a Brody: “Ci serve una barca più grossa”, tra le tante battute del film passate alla storia.

Da qui in poi la tensione narrativa subisce un lieve calo, forse perché lo squalo,  in particolare se osservato con gli occhi smaliziati di oggi, evidenzia la sua natura di simulacro meccanico (denominato affettuosamente Bruce dalla troupe, in omaggio all’avvocato di Spielberg), per quanto le ispirate creatività ed artigianalità del tempo, forse ingenue ma  ricche di magnetica forza espressiva, siano sempre foriere, almeno per quanti preservino l’eterno fanciullino, della magia propria di un cinema volto più che a nascondere i suoi trucchi e renderli realistici, a palesarli in modo evidente, in un continuo gioco di affabulazione con gli spettatori.

La narrazione non perde neanche un colpo riguardo la resa spettacolare, semplicemente tende ora a delinearsi come un classico racconto d’avventura, rimarcando ulteriormente bravura e sintonia dei tre protagonisti principali, ognuno con una ben delineata psicologia. Probabilmente a restarti maggiormente impresso, a parte Brody e la sua cocciutaggine idealista ben resa da Schraider, è il Quint di Shaw, disincantato avventuriero che ha ben capito come funzionino il mondo e i rapporti umani, dopo quel che avvenne in seguito al naufragio dell’Indianapolis, del cui equipaggio faceva parte, l’ incrociatore statunitense affondato da un sommergibile giapponese nel Mare delle Filippine il 30 luglio del 1945, una volta consegnato alla base di Tinian parti fondamentali per la costruzione dell’ordigno atomico che sarebbe stato lanciato su Hiroshima.

Jaws può essere visto come un “semplice” thriller marino, oppure dare adito alle più svariate interpretazioni, egualmente al romanzo d’origine, nella trasposizione sfrondato da varie sotto trame e con qualche modifica nel finale. Per quanto mi riguarda concordo con quanti vi hanno visto citazioni del melvilliano Moby Dick, trasmutate in chiave pop, o dell’Hemingway de  Il vecchio e il mare, con la “grande morte bianca” ad ergersi quale simbolo e proiezione delle nostre più ancestrali paure e dei nostri limiti, Leviatano che emerge dal buio degli abissi sconvolgendo la tranquillità del vivere quotidiano.

 Il film ebbe tre seguiti, nel 1978 (Jeannot Szwarc), 1983 (Joe Alves) e 1987 (Joseph Sargent), varie imitazioni e un decente rifacimento italiano (non dichiarato, la Universal intentò una causa per plagio, vincendola),  L’ultimo squalo, 1984, di E. G .Castellari; Jaws vinse tre Oscar nel 1976: Miglior Montaggio (Verna Fields), Miglior sonoro (Robert L. Hoyt, Roger Herman Jr., Earl Madery e John R. Carter), Miglior colonna sonora (John Williams).

Rielaborazione ed approfondimento di un mio precedente articolo pubblicato nel marzo 2010; immagine di copertina:Andrew Thomas da Shrewsbury, Regno Unito, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Una replica a “1975-2025, Lo squalo (Jaws) e i suoi primi 50 anni”

  1. […] animazioni alla scoperta di creature marine e misteriosi fondali, dal 28 agosto al 20 settembre. Lo squalo, Moby Dick, Point Break, Vita di Pi, Dunkirk, La tartaruga rossa,  Ponyo sulla scogliera, […]

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