Roma, secondo dopoguerra. Un corteo di pensionati si muove per le strade della città, agitando cartelli inneggianti all’aumento delle pensioni, ma non essendo autorizzato viene disperso dalla polizia. Tra loro un distinto signore, Umberto Domenico Ferrari (Carlo Battisti) e il suo cane Flaik, cui è molto legato, per trent’anni funzionario al Ministero dei Lavori Pubblici, una pensione di 18mila lire al mese, delle quali 10mila gli servono a pagare l’ affitto; la padrona di casa, visti gli arretrati, lo minaccia di sfratto.

E’ in confidenza con la servetta Maria (M. Pia Casilio), che gli rivela di essere incinta e di non sapere chi sia il padre tra i due uomini che frequenta, militari della vicina caserma. Umberto vende prima l’orologio e poi dei libri, 5mila lire come acconto dell’affitto, ma la padrona pretende la somma intera. Si fa ricoverare in ospedale per una influenza, e tornando a casa trova la sua camera in ristrutturazione, la padrona sta per sposarsi.

Flaik è dato per scomparso, ma lo ritrova al canile. Ormai disperato, senza nessuno disposto ad aiutarlo, vaga per la città, mette a dura prova la sua esemplare dignità, prova a chiedere l’elemosina, prima da solo e poi con l’aiuto del fido cagnolino, finendo con meditare il suicidio: un’ultima notte in casa, prepara la valigia e al mattino, salutata Maria, va via. Cerca di lasciare Flaik in un’apposita pensione, ma la retta è troppo alta, vorrebbe donarlo ad una bambina incontrata al parco, ma la sua governante si oppone; c’è un passaggio a livello lì vicino, il cane stretto a sé in ultimo abbraccio, il treno passa veloce…

Flaik, spaventato, fugge via, Umberto gli corre dietro e per riconquistarne la fiducia gioca con lui, lanciandogli una pigna: la vita continua, forse con qualche nuova speranza. Sceneggiato da Zavattini, Umberto D. è il capolavoro di Vittorio De Sica: senza la perfezione formale di Ladri di biciclette, per una certa deriva sentimentalista, specie nel finale, va comunque oltre per il coraggio di descrivere la triste, desolante ed umiliante condizione in cui si trovavano a vivere tanti pensionati, nell’indifferenza delle istituzioni e della società intera, insensibili al loro dramma, che si erge ad emblema di quello più generale della solitudine e della emarginazione.

Evidente poi il declino dei valori e la diffusa incomunicabilità, cui si oppone la disarmante gentilezza ed affabilità dei modi dell’anziano Umberto.Tra le ultime espressioni del Neorealismo, è un film crudo, scarno, essenziale, tendente al documentario, con la scelta di un protagonista attore non professionista (un glottologo dell’ Università di Firenze), ed una regia distante, in nome dell’oggettività, volta a far risaltare la “poetica del quotidiano”, pedinando gli attori.

Uno sguardo duro, per quanto animato da una commossa pietà (il regista dedica il film a suo padre, Umberto De Sica) sul tema della vecchiaia, che si fa generalizzato, vista la mancata indicazione del cognome del protagonista nel titolo, e drammaticamente attuale.

Immagine di copertina: Carlo Battisti (Wikipedia)

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