Giuseppe Tornatore (Bagheria, 27/05/1956) è stato tra quegli autori che, sul finire degli anni ’80, hanno ridato prestigio al nostro cinema, anche in ambito internazionale, pur tra dubbi e diffidenze. Dopo esperienze documentaristiche e in tv, collabora con Giuseppe Ferrara per la sceneggiatura di Cento giorni a Palermo (’84), debuttando nell’ ’86 con Il camorrista, Nastro d’Argento come miglior regista esordiente. L’incontro con il produttore Cristaldi darà vita nell’89 a Nuovo Cinema Paradiso, che, dopo l’insuccesso iniziale e tagli per 30’, vincerà il Gran Premio della Giuria al 42° Festival di Cannes e l’Oscar come miglior film straniero.

Roma, il regista Salvatore Di Vita (Jacques Perrin) riceve dal paese di Giancaldo, in Sicilia, la telefonata della madre (Pupella Maggio), che gli comunica la morte di un certo Alfredo: la memoria lo porterà indietro nel tempo, quando bimbo (Salvatore Cascio) di 10 anni, figlio di un disperso in Russia, il cinema “Paradiso” del paese rappresentava per lui, come per tanti, l’unico divertimento.

Nella sala ad ogni proiezione una variegata platea, chiassosa ma capace di grandi emozioni, con il “parroco-gestore”(Leopoldo Trieste) a dare il placet per il passaggio sullo schermo dei film, dopo aver imposto vari tagli al proiezionista Alfredo (Philippe Noiret). Questi è legato da sincera amicizia al bambino, che vede in lui un nuovo padre. Quando la cabina si incendia, Alfredo, che per le ustioni al volto resterà cieco, viene salvato da Salvatore che lo sostituirà nel Nuovo Cinema Paradiso.

Salvatore, ormai adolescente, si innamora di Elena (Agnese Nano), una ragazza benestante, ma il padre di lei contrasta il loro amore: chiamato alle armi, vedrà respinte tutte le lettere che le invia; tornerà al paese per partire definitivamente, seguendo il consiglio di Alfredo di non farsi prendere da nostalgie inutili.

Si torna al presente, Salvatore è a Giancaldo per il funerale, il cinema, fatiscente, viene demolito; torna a Roma tra i ricordi e il rimpianto dell’amore perduto e con un regalo di Alfredo, una speciale “pizza” dei vari tagli del parroco-gestore, la cui visione lo commuove e gli fa intuire come il cinema, nonostante tutto, sia destinato all’immortalità.

Autore di soggetto e sceneggiatura, Tornatore mette in atto sia un’opera autobiografica per clima e ambientazione che una struggente dichiarazione d’amore verso il cinema, quello “vero” che si proietta nel buio di una sala, centro di aggregazione succedaneo alla classica piazza: vengono vagliati gusti e reazioni del pubblico, che interagisce con i divi protagonisti dei film, rappresentativi di varie epoche storiche, scandendone con un’aura di magia il ciclo temporale.

Sospeso tra rinnovato melodramma e commedia, l’estrema sincerità di fondo fa dimenticare la propensione alla facile macchietta e qualche prolissità. Tornatore è un affabulatore di immagini, morbidamente sottolineate dalla musica di Morricone, dando risalto all’innata espressività del piccolo Cascio e alla sorniona caratterizzazione di Noiret, come degli altri attori.

Nella poetica confluenza tra realtà e finzione, il “Cinema Paradiso” è la visualizzazione dei nostri sogni e della nostra innocenza perduta, memoria storica del nostro passato che ci aiuta ad affrontare meglio il presente.

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