Coniugando qualità e capacità di andare incontro ai gusti del pubblico, più che assecondandolo, stimolandolo giorno dopo giorno a scoprire un programma estremamente ricco e variegato, il Roccella Jazz Festival conferma la felice intuizione di trent’anni fa, conferire un ruolo strategico alla cultura in un territorio ricco di valori come di asperità e contraddizioni.
La direzione artistica di Paolo Damiani ha intitolato l’edizione del trentennale Memorie Future, simbolo di tutto il lavoro svolto in questi anni, produzioni originali, sperimentazioni, la commistione tra linguaggi diversi, concepire la manifestazione come luogo d’incontro tra musicisti di aree geografiche ed espressioni artistiche diverse, facendo guadagnare la platea anche a realtà emergenti, patrimonio acquisito e valida base per l’avvenire.
Abbandonando la natura itinerante degli ultimi anni, serata inaugurale a parte (Reggio Calabria), Roccella si è trasformata in una cittadella del jazz, con alcune esibizioni non più concentrate nei luoghi “classici” (ex Convento dei Minimi, Auditorium, Teatro al Castello), ma “vaganti” tra la Piazza San Vittorio e il Porto delle Grazie.
Una felice idea, frutto di un originale ragionamento sul concetto di spazio e luogo per la musica, che sfrutta alcuni dei luoghi simbolo del paese, conferendogli valenza artistica, nuove sfumature e potenzialità espressive, coinvolgendo sia artisti che cittadini. In quest’ottica di ripensamento del territorio e della sua rivalutazione non appare poi del tutto stonata l’associazione con la Mostra mercato dell’artigianato e dell’enogastronomia, volta a presentarne le migliori produzioni locali.
Impossibile elencare, per esigenze di brevità espositiva, ogni singola rappresentazione, sicuramente da ricordare, tra i “pomeriggi”, la performance di Rita Marcotulli e Rocco Papaleo, con la pianista che ha dato vita ad una musicalità estremamente originale, ricca di virtuosismi mai fini a se stessi, giusto contrappunto alla recitazione dell’attore, sospesa tra rassegnazione e sarcasmo misti ad un certo disincanto.
Il concerto-reading dello scrittore Flavio Soriga, che partendo dall’idea di un’ isola immaginaria e simbolica ha dato vita ad un viaggio, non solo letterario, sospeso tra storia e gesta picaresche; il recital Và fuori straniero di Stefano Benni, incentrato sul contrasto doloroso tra noi dimentichi di essere stati i migranti di ieri e l’accoglienza che riserviamo ai migranti di oggi.
Riguardo le serate, Diane Schuur in testa, per averci fatto sentire dal vivo la sua forza espressiva e la straordinaria estensione vocale, contraddistinta da potenza e flessibilità pur nella caratterista inflessione blues, Mirko Geurrini e il suo Cirko, struggente espressione musicale del contrasto circense tra il bianco e l’augusto, il clown intelligente e arguto, misurato, e quello invece fuori misura, irriverente e pasticcione; Steve Kuhn e la sua eccelsa tecnica espressa al pianoforte, valorizzata ed estremizzata dall’espressionismo jazz scaturente dal sassofono della special guest Ravi Coltrane.
Splendida torta di compleanno per la serata finale di ieri, 21 agosto: sul palco del Teatro al castello si è esibito dapprima il Quartetto trionfale composto da Gunter Baby Sommer, batterista e percussionista, icona del movimento free tedesco, Manfred Schoof alla tromba, tra i fondatori del suddetto movimento, Gianluigi Trovesi, uno dei più originali e creativi jazzisti europei, al sassofono e Barre Phillips al contrabbasso: i quattro arzilli “vecchietti” hanno dato vita ad una esibizione piuttosto particolare, connotata tanto della loro tipica innovazione con cui hanno dominato per anni la scena europea contemporanea, che da un modo divertito di fare musica che li contraddistingue attualmente, un non facile connubio tra stile, soavità, estro, genialità ed improvvisazione.
A seguire Roccellanea 30 anni dopo, felice trait d’union tra passato e futuro, con ancora Trovesi al sassofono, Paolo Damiani al contrabbasso e Paolo Fresu alla tromba, che ha incantato il pubblico con quelle tonalità a dir poco uniche, estremamente ammalianti, calde e personali, legate sia alla realtà della propria terra, la Sardegna, che aperte verso forme artistiche più moderne, abbracciando diverse culture e forme artistiche.
Lo stesso Fresu, insieme al percussionista indiano Trilok Gurtu e al compositore e pianista cubano Omar Sosa, ha tracciato nell’esibizione che ha posto la parola fine a questa riuscita edizione del trentennale, le linee, musicali e non, simbolicamente, del prossimo futuro: tre voci uniche e consapevoli della propria diversità, riunite in un grande progetto che fonde mirabilmente insieme elementi musicali appartenenti alle rispettive etnie, unendo tradizione e modernità, in una continua esplorazione dal magico afflato.





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