
Piccolo film dal budget risicato (1,8 milioni di dollari, tutto è relativo) capace di grandi incassi (54 milioni di dollari in America), L’ultimo esorcismo, presente nella sezione “Rapporto confidenziale” della 28esima edizione del Torino Film Festival, è un’opera complessivamente valida, senza far gridare al capolavoro o aggiungere nulla di inedito al genere horror, rientrando in un filone di cui si è sin troppo abusato in questi ultimi anni, almeno a parere di chi scrive; siamo infatti di fronte ad un mockumentary, un “finto documentario”, che ha i suoi precedenti in Blair Witch Project o Paranormal Activity, senza dimenticare il nostrano Cannibal Holocaust, ’79, di Ruggero Deodato.
Regia del tedesco Daniel Stamm, al suo secondo lungometraggio dopo A Necessary Death e sceneggiatura di Huck Botko e Andrew Gurland, l’opera si avvantaggia nel suo stile fintamente amatoriale dai toni documentaristici, con il risalto della “solita” camera a mano, dell’ambientazione nella Louisiana più rurale, che crea una certa sintonia paesaggio-personaggi.
Il reverendo Cotton Marcus (Patrick Fabian)si è costruito fama e fortuna sfruttando il suo carisma ed orchestrando teatrali esorcismi su persone spesso affette da problemi psichici; in preda ad una crisi di coscienza, decide di filmare un documentario-confessione sul suo ultimo esorcismo, rivelando tutta la verità: l’occasione gli viene data da Louis Sweetzer (Louis Herthum), rigoroso fondamentalista, che lo chiama per liberare la figlia Nell (Ashley Bell) da quella che ritiene una possessione demoniaca. Giunto sul posto il reverendo avrà il suo bel da fare per salvare non solo la giovane, ma anche se stesso…
Sospeso tra classicità e tentativi d’innovazione, L’ultimo esorcismo ha tra i suoi pregi essenziali l’interpretazione di Fabian, per quanto, almeno in parte, debitrice al padre Karras/Jason Miller de L’esorcista di William Friedkin, ‘73 , in qualche modo nume ispiratore insieme ad altri classici, tra i quali rientrano sicuramente The Wicker Man di Robin Hardy e Rosemary’s baby di Roman Polanski.
Il film almeno nella parte iniziale riesce ad essere interessante, anche sfruttando un minimo di humour sarcastico, rivelando alla luce della razionalità i “trucchi del mestiere” di Marcus, il quale dovrà poi far fronte ad una manifestazione diabolica in piena regola, che si manifesterà improvvisamente in tutta la sua violenza.
Qui sta il problema essenziale, perché man mano che la narrazione procede non si ha alcun crescendo al riguardo, mancando nello spingere il pedale dell’irrazionalità che irrompe nel quotidiano, un certo equilibrio tra tensione emotiva e terrore, sino a giungere ad un finale ovviamente aperto al probabile sequel, alla faccia dell’aggettivo “ultimo” presente nel titolo.
Certo, di fronte a recenti realizzazioni di bassa macelleria, almeno vi è un minimo di atmosfera con degli effetti che hanno il sapore di incontaminata artigianalità, basta sapersi accontentare e mettere in atto un notevole sforzo di volontà per dimenticare, solo per un attimo, quanto di valido è stato realizzato negli anni passati nell’ambito del genere horror- thriller.





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