Femmine contro Maschi è da ritenersi più uno spin-off del precedente Maschi contro Femmine che una sua seconda parte, sempre Fausto Brizzi alla regia e stesso team di sceneggiatori (il regista, Marco Martani, Massimiliano Bruno, Pulsatilla), i quali, con uno sforzo degno di miglior causa, ancora una volta non sono riusciti ad andare oltre la mesta conferma dei propri limiti, sia per l’impostazione, formalmente corale ma tendenzialmente volta a visualizzare una serie di sketch, sia per la banalizzazione dell’ eterno conflitto tra i sessi (troppa grazia definirlo confronto o delinearlo come tale), pur con una maggiore attenzione all’ interazione tra i vari personaggi e alle sfumature sentimentali.

Protagonisti quanti nell’episodio precedente erano semplici comprimari e viceversa, la trama scorre sempre su quattro binari essenziali: Valeria (Francesca Inaudi), maestra elementare, è la compagna del bidello Rocco (Salvo Ficarra), eterno bambinone collezionista di figurine e musicista in una cover band dei Beatles insieme al suo grande amico Michele (Valentino Picone), sposato con Diana (Serena Autieri), convinta invece che il marito abbia abbandonato gli intenti “artistici” e sia dedito solo al lavoro.

Anna (Luciana Littizzetto), androloga, e Piero (Emilio Solfrizzi), benzinaio, sono sposati da vent’anni, lei sensibile e colta, lui rozzo ed infedele. Persa la memoria causa un banale incidente, Piero sarà “riformattato” da Anna nell’uomo dei suoi sogni; Marcello (Claudio Bisio), chirurgo plastico, e Paola (Nancy Brilli), impiegata, divorziati da anni, tanto che lei ha ormai un nuovo compagno, sono costretti a tornare a vivere insieme alla notizia che l’anziana madre di lui (Wilma De Angelis), sempre tenuta all’oscuro di tutto, ha pochi giorni di vita.

Per quanto nell’impianto messo in scena si avverta una maggiore concretezza, a livello stilistico e drammaturgico, rispetto al citato precedente, il film naufraga nel mare della delusione estrema, spinto sempre più giù dai flutti del luogo comune e dell’ovvietà, tra citazioni troppo tristi ed impudiche (la dettatura della lettera tra Ficarra e Picone, riferimento a Totò, Peppino e…la malafemmina, la copertina dell’album Abbey Road dei Beatles) per poter essere definite omaggi, vignette visualizzate (una per tutte, la botta contro un palo causa visione di una procace fanciulla) e qualche situazione divertente che appare a tratti (la Littizzetto insolito Pigmalione, la furba “nonnina” De Angelis).

Tutto fa brodo nel consueto minestrone “Brizzi e lazzi”, donne leonesse ma non propense al divertimento puro e semplice, a meno che non sia quello di frantumare gli zebedei a mariti e compagni, ovviamente farfalloni e zuzzurelloni, per plasmarli a proprio uso e consumo, giustificato dalla didascalia iniziale, una frase di Charles Darwin, “il maschio scelto dalla femmina non è colui che sembra più attraente, ma colui che la disgusta di meno”.

Parafrasando, lo stesso può dirsi degli spettatori che, sull’onda crescente dell’intrattenimento leggero e non volgare, sul quale mi sono spesso soffermato, finiscono, loro malgrado, per accettare un po’ di tutto, complice la scarsa volontà degli autori di osare qualcosa in più, per esempio una maggiore articolazione e conseguente approfondimento, sempre restando nel campo della commedia, quella vera però, cinematograficamente parlando, senza tristi ammiccamenti alle fiction televisive. Assuefazione, quanti crimini si compiono in tuo nome…

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