Il regista inglese Ken Russell, un autore che tra visionarietà ed eccentricità è riuscito, a suo modo, a volte anche sfidando il buon gusto, a lasciare un particolare segno nel cinema, mettendo da parte regole e consuetudini di linguaggio, costumi e morale, è morto ieri notte, all’età di 84 anni.
A darne la notizia il sito della BBC, la rete televisiva britannica dove per undici anni, a partire dalla seconda metà degli anni ’50, ha realizzato documentari, incentrati in particolare sulle autobiografie di musicisti e artisti, dopo aver girato alcuni corti ed essere stato in precedenza fotografo, coreografo, ballerino, attore, non dimenticando il periodo di servizio presso la RAF.

Il debutto cinematografico, senza colpo ferire, risale al’64, Pepe francese, per poi farsi veramente notare nel ‘67, con Il cervello da un miliardo di dollari, film di spionaggio con Michael Caine e, soprattutto, due anni dopo con Donne in amore, tratto dal romanzo di D. H. Lawrence, che fece guadagnare l’Oscar come migliore attrice alla protagonista Glenda Jackson; seguiranno opere come L’altra faccia dell’amore, ’70, I diavoli, ’71, dai toni sempre più esagitati e a volte confusi, arrivando al ’75, anno di uscita del suo più grande successo di pubblico, il musical Tommy, derivato dall’omonima rock-opera degli Who, insieme a Stati di allucinazione, ’80, interpretato da William Hurt.

Comunque non sono da dimenticare titoli come Messia selvaggio, ’72, biografia dello scultore Henri Gaudier, Valentino, ’77, dove Rudolf Nureyev dava corpo e anima al celebre divo del muto, o il crudo, insieme dolente e furente, Whore, ’91, magari mettendo da parte opere dai toni più visionari e barocchi, nel bene e nel male caratteristiche che hanno accompagnato la sua carriera e ne perpetreranno certo il ricordo.

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