Serrando le fila del discorso, l’ultima vittoria italiana agli Oscar risale al ’98, La vita è bella di Roberto Benigni, siamo riusciti ad arrivare in finale solo nel 2006, la nomination de La bestia nel cuore di Cristina Comencini: non è mai troppo tardi per mettere in atto i classici buoni propositi dell’anno nuovo, rimbocchiamoci le maniche e procediamo con l’altrettanto classico e doveroso esame di coscienza. Manca la proposizione di titoli veramente validi, capaci di dar vita ad un emozione, ad un interesse, che pur partendo da una situazione particolare riescano poi concretamente ad universalizzarsi? Il nostro linguaggio cinematografico, in altri termini, manca propriamente di ampio respiro?
O, più semplicemente, non siamo capaci di mettere in atto una promozione adeguata, latita la volontà di crederci fino in fondo, unite ad un’ immagine alquanto appannata del nostro Bel Paese, specificamente nell’ambito culturale?
Forse, sottolineo forse, in fondo è l’opinione di un modesto cinefilo di provincia, tutte queste cose insieme e l’ultima in particolare: probabilmente sarò banale, ma riappropriarsi della nostra identità culturale, dando un calcio alla “beata ignoranza”, ricercata, voluta e pretesa, anche da chi siede sugli alti scranni, potrebbe essere un ottimo inizio.
I film ancora in gara: Bullhead, Michael R.Roskam, Belgio; Monsieur Lazhar , Philippe Falardeau, Canada; Pina, Wim Wenders, Germania; Footnote, Joseph Cedar, Istraele; Omar Killed Me , Roschdy Zem, Marocco; In Darkness , Agnieszka Holland, Polonia; Warriors on the Rainbow: Seediq Bale , Wei Te-sheng, Taiwan; Superclasico, Ole Christian Madsen, Danimarca; A Separation, Asghar Farhadi, Iran.
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