
E’ morto ieri, domenica 20 agosto, nella sua residenza a Las Vegas, l’attore e regista cinematografico Jerry Lewis (Joseph Levitch, Newark, New Jersey, 1926), la cui comicità istintiva, congiunta mirabilmente ad una mimica, facciale in particolar modo, a dir poco eccezionale, traeva forza da una rilevante capacità di analisi dei meccanismi della risata, che comportava una esemplare precisione nella loro resa all’interno della messa in scena. Nello specifico Lewis rivelò una certa sagacia nel congiungere i toni propri dello slapstick, resi esteriormente da un fisico camaleontico, le cui movenze andavano ad integrarsi con lo spazio e gli oggetti, all’umorismo della tradizione yiddish, sottile e pungente, offrendo in definitiva una sorta di unicum che ridava al cinema una certa essenzialità primordiale, dove meraviglia e divertimento trovavano un’opportuna e personalizzata dimensione.
Figlio di due artisti di varietà, Jerry trascorse l’infanzia girovagando in vari teatri di provincia con i genitori, per poi frequentare la scuola ed infine il liceo, dal quale però venne espulso a 15 anni, in seguito ad una lite con il preside, causa le insinuazioni antisemite di questi. Si diede quindi da fare svolgendo vari lavori (facchino, usciere, fattorino), e girò per i locali notturni a proporre le sue imitazioni, fin quando non incontrò il cantante Dean Martin, col quale darà vita con successo al classico duo del bel giovanotto sciupafemmine di stampo latino e del ragazzone timido ed imbranato, dapprima nei night club e poi in televisione, approdando infine al cinema nel 1949 con La mia amica Irma (My Friend Irma, George Marshall), primo di 16 film che i due girarono insieme.
Fra questi si ricordano piacevolmente Artisti e modelle (Artists and models, Frank Tashlin, 1955), dove il contrasto fra la sfrontata aria da viveur di Martin e la plasticità surreale, cartoonesca, espressa visivamente da Lewis raggiunge vette certo memorabili, Mezzogiorno… di fifa (Broadway, Pardners, 1956, Norman Taurog), Hollywood o morte! (Hollywood or Bust, 1956, ancora Tashlin), ultimo film della coppia. Una volta “libero” da Dean Martin, Jerry inizierà a prodursi e dirigersi da solo, a partire dal 1960 con The Bellboy (Ragazzo tuttofare), che fece seguito ad altri titoli dove era ormai protagonista assoluto, spesso girati da cineasti fidati quali i citati Marshall (Il marmittone, The Sad Sack, 1957) e Tashlin (Il balio asciutto, Rock-a-Bye Baby, 1958; Il ponticello sul fiume dei guai, The Geisha Boy, 1958), per poi giungere nel 1963 a quello che può ritenersi il suo capolavoro, Le folli notti del dottor Jerryll (The Nutty Professor).
Colorata ed esilarante parodia del romanzo Strange Case of Dr. Jekyill e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson (1886), oltre che acuta riflessione sul dualismo essere-apparire, rappresenta inoltre un compendio del repertorio comico di Lewis, visto che viene esaltato il tema del personaggio soggetto che si riduce ad oggetto sino alla sua definitiva frantumazione, come evidenziato dallo sberleffo finale, il protagonista che inciampa e cade sulla macchina da presa, infrangendola e rivelando la finzione della messa in scena. L’innata e al contempo attentamente studiata vis comica trovava quindi nei film da lui diretti inedita valenza autoriale, dove la realtà veniva trasmutata da un incedere incessante di gag che nel loro dinamismo lasciavano però spazio a più di una nota drammatica o comunque profondamente malinconica.
Jerry 8 e ³/₄ (The Patsy, 1964), I sette magnifici Jerry (The Family Jewels, 1965), Tre sul divano (Three on a Couch, 1966), Il ciarlatano (The Big Mouth, 1967), Scusi, dov’è il fronte? (Which Way to the Front?, 1970) sono i titoli dove il gusto per il surreale e il paradosso trovano una compiuta forma espressiva, manifestata in particolar modo, come di consueto, relativamente all’aspetto visivo, in forza anche del frenetico “assalto alle scene” messo in atto dal Lewis attore, spesso interprete di più personaggi all’interno dello stesso film.
A partire dagli anni Settanta Jerry iniziò ad allontanarsi dal mondo dello spettacolo, la sua comicità, pur sempre sulfurea, iniziava ad accusare i colpi, ancor prima di un inevitabile senso di datato, di un altrettanto inevitabile ed acre disincanto, come evidenziarono i suoi ritorni dietro la macchina da presa Bentornato picchiatello! (Hardly Working, 1980) e Qua la mano picchiatello (Smorgasbord, 1983), ma soprattutto l’intensa prova attoriale, dai toni fortemente autobiografici, offerta in Re per una notte (The King of Comedy, Martin Scorsese, 1983) nei panni di un divo televisivo oggetto delle pressanti attenzioni di un suo fan (Robert De Niro), che intenderebbe seguirne le gesta, ottenendo identica fama.
Per quanto afflitto da vari problemi di salute, Jerry ha continuato a lavorare fino all’ultimo, soprattutto in televisione, lasciando comunque il segno anche al cinema grazie a partecipazioni in film come Cookie (1989, Susan Seidelman) e Arizona Dream (1993, Emir Kusturica). A Lewis è stato conferito nel 1999 il Leone d’Oro alla Carriera alla 56ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, premio che evidenzia il particolare interesse europeo verso l’innovativa comicità di Lewis, non sempre del tutto apprezzata in patria, sottovalutando al riguardo come nei suoi tratti scomposti e quasi schizofrenici sia riuscita a conferire alle varie narrazioni filmiche il senso profondo di un suggestivo strattagemma, in odor di sopravvivenza, per conferire un qualche senso all’umana esistenza, sottolineando in chiave satirica la nostra condizione psicologica e sociale una volta fatti i conti con l’inevitabile realtà che ci sovrasta.





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