Saranno dedicate al duo Powell & Pressburger e a Jean Eustache le due retrospettive del 36mo Torino Film Festival (23 novembre- 1° dicembre).
Due generazioni, due stili, due immaginari che possono apparire agli antipodi ma anche due idee di cinema che ben corrispondono alle anime diverse della kermesse cinematografica torinese; tra i più grandi visionari della storia del cinema, l’inglese Michael Powell (regista e produttore) e l’ungherese Emeric Pressburger (scrittore) hanno costruito tra la fine degli anni ‘30 e l’inizio degli anni ‘60 lo spettacolo cinematografico perfetto, idoneo a comunicare con l’inconscio degli spettatori, che ha affascinato e influenzato i giovani Scorsese, De Palma e Coppola in virtù della distorsione ed enfatizzazione continua del potere dello sguardo (e dell’occhio della cinepresa).
La retrospettiva presenterà i venti titoli che hanno realizzato insieme, dall’eccentrico film bellico per il quale Pressburger vinse un Oscar (49° Parallelo) all’affresco romantico molto amato da Bertrand Tavernier (Duello a Berlino), dal viaggio ossessivo nella passione di Narciso nero agli andirivieni “lisergici” nell’Aldilà di Scala al Paradiso, dalla dannazione artistica di Scarpette rosse al lussureggiante demonismo di I racconti di Hoffmann. Insieme a questi, alcuni dei film diretti dal solo Powell, compreso il capolavoro “maledetto”, L’occhio che uccide. Venendo invece a Jean Eustache, “fratello minore” della Nouvelle Vague, autore spesso emarginato dall’industria, la retrospettiva presenterà tutti i suoi film.
L’esordio del cineasta francese, morto nel 1981 a poco più di quarant’anni, risale al 1963 con il cortometraggio incompiuto La Soirée, per poi divenire autore di numerosi mediometraggi e di film quali Mes petites amoureuses, Une sale histoire e, nel 1973, La maman et la putain, capolavoro sull’inefficacia della parola e sulla vaghezza dei sentimenti, sui vuoti, sui corpi e sull’indispensabile moralità del cinema.
Meno compiacente e più “crudele” dei maestri della Nouvelle Vague, innamorato del rigore di Bresson e del vigore di Renoir, Eustache, tra autobiografia e rappresentazione, non ha mai smesso di interrogarsi sulla dinamica tra l’apparente realismo inquisitivo della macchina da presa e la finzione che entra in gioco non appena la cinepresa comincia a girare; il suo malessere e la sua forza analitica hanno influenzato cineasti contemporanei come Assayas, Denis, Desplechin, Jarmusch.
(Fonte: comunicato stampa TFF)





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