
Scritto e diretto da Marcella Piccinini (La luna di Kiev, 2007, Il mondo capovolto, 2017), La mia casa e i miei coinquilini- Il lungo viaggio di Joyce Lussu, si palesa alla visione come un documentario dalla costruzione narrativa piacevolmente singolare e coinvolgente, imbastita su un ritmico succedersi d’immagini, attuali e di archivio, sottolineato da un accurato montaggio (Paolo Marzoni e la stessa Piccinini) e da un motivo sonoro discreto ed avvolgente, inteso quest’ultimo a sottolineare alcune sequenze, ove non intervenga la voce fuori campo di Maya Sansa, ad interpretare una serie di scritti tratti dai libri di Joyce Lussu (Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti all’anagrafe, coniugata Belluigi e poi Lussu) poetessa e scrittrice, nonché protagonista della lotta partigiana, di varie campagne per l’autodeterminazione femminile e traduttrice di autori quali il poeta turco Nazim Hikmeth.
L’opera prende spunto da un’intervista rilasciata da Joyce Lussu a Marco Bellocchio e Daniela Caselli nel 1994, di cui alcuni stralci rientrano nell’ambito della narrazione.

Punto di partenza è la casa di Joyce a Fermo, nelle Marche, dove la macchina da presa entra sinuosa e discreta, soffermandosi sul mobilio, sugli oggetti di uso comune, qualche capo di vestiario, il giardino tutt’intorno; ma tale dimora, per quanto calda ed accogliente, non può considerarsi la reale abitazione di questa donna così attiva e presente nelle lotte per un mondo migliore, perché non risultino vacue parole come libertà, equità e giustizia sociale. Riemerge allora il ricordo degli insegnamenti genitoriali, rivolti a lei come agli altri figli: “la nostra casa non era soltanto il pezzetto di terra dove abitavamo, ma l’intero pianeta era la nostra casa e nel contempo la casa di tutti, così ho pensato fosse bello e intelligente conoscere la mia casa e i miei coinquilini”. Eccola dunque, insieme al fratello Max, fra le fila della brigata partigiana Giustizia e Libertà, il suo darsi da fare per eseguire un delicato compito affidatole, recapitare un messaggio ad Emilio Lussu, noto come Mister Mill. E poi l’amore che nasce fra loro, il matrimonio, la vita insieme a Parigi, da rifugiati, cambiando continuamente dimora, con la macchina da scrivere e i libri come unici beni da portarsi appresso, la nascita di un figlio, il considerarsi l’una parte dell’altro, reciprocamente e mantenendo un livello paritario nell’emergere delle rispettive personalità.

Ma, racconta Joyce a Marco Bellocchio, nel corso della citata intervista, evidenziando un carattere fiero e caparbio, ruvido e schietto, “non basta aver fatto la Resistenza”, crogiolarsi dunque con la consueta “passeggiata nel passato”, occorre darsi da fare, prendere spunto da quel movimento nato dal basso, così come altri che ne seguirono, e continuare a lottare strenuamente, al netto di sogni ed illusioni, contro ogni deriva autoritaria, sopraffazione o negazione dei diritti fondamentali di ciascun individuo.
Purtroppo, si evince dalle parole di Joyce, all’umanità non sembra essere bastata la lezione impartita a caro prezzo dal Secondo Conflitto, il “passo dell’oca“ dei militari lungo le strade delle città occupate, i calcolati genocidi, l’uomo che annienta se stesso … “La Storia insegna, ma non ha scolari” (Antonio Gramsci).
E così, una volta che, finita la guerra ed avviata la Repubblica, il marito divenne ministro, Joyce non ci sta ad assecondare quel ruolo riduttivo impostole per inveterata consuetudine dalla società, “la signora del ministro”, “la consorte di Sua Eccellenza”, da Roma farà tappa in Sardegna, ad Armungia, dove vi è la casa di Emilio: qui i suoi aneliti di libertà e giustizia, volti anche a soppiantare ogni discriminazione di genere, trovano terreno fertile sul quale spargere i semi di una pregnante coscienza civile, facendo sì che le donne, mogli dei compagni di partito, lasciassero finalmente quello che secondo i loro mariti era il luogo loro deputato, la casa e relativa cura cui dovevano provvedere, così da prendere parte attiva nelle riunioni delle sezioni.

Una ritrovata forza propulsiva per l’affermazione definitiva dei diritti, intesi quest’ultimi a proclamare una sacrosanta eguaglianza in ogni ambito esistenziale, a partire da quello lavorativo. Lottare per un mondo più giusto, che offra a tutti identiche opportunità esistenziali sulla base delle proprie reali capacità, vuol dire anche combattere per una cultura non omologata, che sappia attingere da realtà sconosciute, nella concreta capacità “di far poesia di tutto”, portando a conoscenza dell’Occidente le opere, tradotte, di poeti militanti quali Nazim Hikmeth, turco, e Agostinho Neto, angolano.“Poesia utile”, idonea, quindi, anche a far conoscere derive autoritarie ancora presenti, esternate da un potere che, accusandoli di dissidenza, riserva loro la galera, impedendogli di scrivere.
Nel riuscito intarsio d’immagini, cui non sono estranei concreti simbolismi, atti a rimarcare il marciume purulento di un mondo dimentico di pietà e misericordia umana (per esempio, il nugolo di mosche ronzanti intorno a carcasse di animali in decomposizione), La mia casa e i miei coinquilini – Il lungo viaggio di Joyce Lussu riesce a mettere in luce ogni aspetto della personalità di una donna forte e determinata, così come emerge dai luoghi che ha frequentato e dalle sue parole, cui non è estraneo qualche rimpianto, in particolare all’interno della sfera personale.

Emerge infatti la straziante consapevolezza che “il grande amore per tutti non deve togliere niente al nostro grande amore per uno”… Joyce, uscendo di casa per un impegno di lavoro, sarebbe voluta tornare indietro, da quel bambino che la chiamava dalla soglia … “Ma il tempo è una strada che non si può più ripercorrere. E i paracarri che segnano le tappe sono di pietra molto dura”.
Una valida realizzazione, concludendo, idonea a travalicare l’idea di memoria come mero esercizio cerebrale, rammentando come il verbo “ricordare” nella sua etimologia originaria indichi quale organo propenso alla funzione il cuore: Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove. Ma perché è così importante sapere che cosa è accaduto prima? Perché molte volte quello che è accaduto prima ti spiega perché certe cose accadono oggi (passo tratto dalla famosa lettera di Umberto Eco a suo nipote).
Già pubblicato, in data 15/11/2018, sul sito Lumiere e i suoi fratelli