Anime borboniche

Castel Campagnano (CE), giorni nostri. I coniugi Vincenzo (Ernesto Mahieux) e Lucia (Susy Del Giudice), sono in auto, destinazione la Reggia di Caserta, ambedue con indosso vestiti settecenteschi, lui in livrea da cocchiere, lei in elegante abito da damina. Dovranno infatti unirsi agli altri componenti dell’associazione Anime borboniche, composta da vari figuranti che intendono rievocare all’interno della Reggia l’atmosfera propria del “tempo che fu”, ora assoldati dal famoso artista Marchegiani (Paolo Consorti) per andare a formare un’installazione artistica, opera non vista di buon occhio dal segretario della reale magione, Dottor Borriello (Giovanni Esposito), il quale definisce il tanto decantato maestro scarsamente professionale, incline, fra l’altro, a cedere al “bene effimero della bellezza”, per dirla con De Andrè, con quella faccia da “Raffaello Sanzio in convalescenza”, scontrandosi al riguardo col parere del direttore (Randall Paul). Vincenzo e Lucia, rispettivamente barbiere e maestra, il primo più anziano di 15 anni e con 20 cm di altezza in meno rispetto alla consorte, durante il tragitto si rinfacciano  le reciproche fissazioni e manchevolezze, finché, causa qualche parola di troppo da parte del “cocchiere”, la bella damina, approfittando di una “sosta fisiologica”, non lo pianterà in asso, lasciandolo dunque solo a vagare lungo le campagne circostanti, alla ricerca di un passaggio. E così il nostro, sempre con indosso il costume di scena, incapperà in tutta una serie d’incontri, da una coppia anch’essa incorsa in un litigio ad un contadino geloso delle sue ciliegie, passando per un tenore in ritiro all’interno di un convento in attesa del debutto, una donna dal triste passato in eremitaggio volontario dal consesso civile, senza dimenticare l’affabile Padre Giacinto (Giobbe Covatta), che sembra sapere tutto di lui ed un misterioso fanciullo con una chitarra propenso ad indicargli la via da percorrere. Infine, ecco quattro artisti adusi a sbarcare il lunario lavorando come becchini, che lo condurranno alla meta. Intanto Lucia, pentita, si è messa alla ricerca di Vincenzo, per poi giungere alla Reggia, rimembrando quel fatidico “sì” di 25 anni fa…

Susy Del Giudice ed Ernesto Mahieux

Scritto e diretto da Paolo Consorti e Guido Morra, Anime borboniche, disponibile dallo scorso 14 gennaio sulla piattaforma web Prime Video, si palesa alla visione come una realizzazione che può vantare un valido lavoro relativamente alla sceneggiatura, in sinergia con una regia piuttosto sobria, attenta a valorizzare gli incantevoli scenari naturali, rendendo la campagna casertana e, soprattutto, la Reggia ulteriori protagoniste, suffragata al riguardo dalla fotografia di Gianni Mammolotti. Quest’ultima contribuisce non poco a creare una suggestiva atmosfera, propensa a far sì che l’ordinaria quotidianità si ammanti di toni surreali e fiabeschi. Eguale attenzione registica è riservata alla valorizzazione delle interpretazioni attoriali, rimarcando al riguardo la felice resa recitativa di Mahieux, tra naturalezza e mimica rarefatta, folletto che coniuga nelle proprie riflessioni a voce alta ironia ed un’apparente disillusione, ancora propenso però ad accogliere dentro di sé un certo stupore esistenziale, alternando l’accettazione di quanto la vita potrà sempre proporgli da un momento all’altro, in positivo o in negativo, all’inclinazione a lasciarsi sorprendere da un sempre possibile “miracolo” di una vivida felicità (o qualcosa che ci vada vicino). Insieme alla consorte Lucia (l’altrettanto brava Del Giudice), ma in parte anche a Borriello, Vincenzo è il fiero rappresentante di quelle “persone semplici” descritte efficacemente da Padre Giacinto (un bel cammeo di Giobbe Covatta, sornione e misterioso al contempo), ancora capaci di “annullarsi ed ascoltare in silenzio”; a volte possono lasciarsi sopraffare dai triboli esistenziali, ma sono pronte, sempre e comunque, a riprendere il cammino attraverso il  sentiero intrapreso, una volta arrivati al bivio fra due strade: loro hanno scelto la meno battuta dai più, ovvero, ancora una volta riprendendo le parole dell’arguto fraticello, quelle “persone complicate”, “conoscitori di tutto e sapienti del nulla”, nella loro arrogante sicumera manifestata nel sentirsi “più eguali degli altri”.

Giobbe Covatta

Ecco allora che le “anime borboniche” presenti nel titolo del film, e che appaiono in qualità di figuranti nel corso della narrazione, si distaccano dalla loro materialità per assurgere a simbolo delle persone di cui sopra, quelle ancora propense a circoscrivere ed esprimere col loro abbraccio una concreta umanità ed un condivisibile senso di speranza. Paolo Consorti e Guido Morra riescono quindi a conferire all’impalco proprio di una commedia un ricercato afflato tendente al fiabesco, riprendendo quanto già scritto nel corso dell’articolo, rendendone la tangibilità nell’ambito di un vissuto giornaliero dove la Bellezza, sia quella propria dei sentimenti puri e delle emozioni primarie, sia quella inerente a quanto possa esprimere l’integrità di un territorio o di un complesso monumentale, rischia di essere compromessa dall’artificiosità e dalla grettezza. Anche se a volte la narrazione, almeno riporto la mia personale sensazione, sembri avallare una certa ponderatezza, ritengo che ciò non vada ad inficiare la sincerità propria di un’opera tanto semplice quanto efficace nella resa della messa in scena complessiva e dell’assunto che intende sostenere, per un cinema “medio”, volto a puntare sulla forza espressiva propria dell’ironia leggera e degli “affetti speciali” nell’offrire un empatico e concreto trasporto emotivo agli spettatori, lontano, fortunatamente da accondiscendenze e toni compiacenti, ancor prima che compiaciuti. Da evidenziare, in chiusura, oltre alla validità recitativa dell’intero cast, la colonna sonora curata da (molto bello il brano Il cammino, voce e chitarra di Alessandra Tumolillo) e i costumi realizzati dall’Istituto d’Arte di San Leucio (CE).

Già pubblicato su Lumière e i suoi fratelli- Cultura cinematografica e crossmedialità


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