L’immensità

(Coming Soon)

Presentato, in Concorso, alla 79ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, L’immensità, diretto da Emanuele Crialese, anche autore della sceneggiatura insieme a Francesca Manieri e Vittorio Moroni, è un film la cui visione mi ha sinceramente emozionato, pur se sono dovuto scendere a patti con determinate scelte espresse dagli autori, di scrittura (qualche semplificazione o schematismo nel tratteggio dei personaggi secondari) e poi anche di regia. Queste ultime appaiono intese, riporto la mia primaria sensazione, a permeare la narrazione di un nitido autobiografismo, volto a rinvenire visualizzazione non in una fedele ricostruzione d’epoca avvolta dalle problematiche del tempo, bensì in un intercalare, non sempre lineare, di ricordi e sensazioni, filtrato dall’obiettivo della macchina da presa. L’adulto di oggi, ovvero il regista, nel riportare, mediando tra stilemi poetici ed onirici, lo scorrere della sabbia del tempo, elabora, per il tramite del fluire della memoria, determinati e rilevanti accadimenti della sua gioventù, che, nel pieno degli anni settanta, andavano a prospettarsi in una società dove nell’ambito delle istituzioni rivestiva un ruolo preponderante la famiglia tradizionalmente intesa, magari irreggimentata all’interno del “buon salotto borghese”, a coltivare il mantenimento di un benessere solipsistico, cui andava ad unirsi l’estraneità ostentata nei confronti di un’eventuale divergenza dai modelli ritenuti “normali”, ignorando la valorizzazione delle necessarie istanze individuali nell’affermazione di principi confluenti verso l’emancipazione e l’autodeterminazione.

Luana Giuliani (Sentieri Selvaggi)

Un contesto, quello descritto, dove spesso la televisione, nella messa in onda di spettacoli televisivi che vedevano protagonisti personaggi dall’indubbio carisma divistico, portatore di una concreta fascinazione popolare (Raffaella Carrà, Adriano Celentano, Patty Pravo, menzionando quelli che appaiono lungo l’iter narrativo), poteva offrire una ventata di trasgressione per certi versi necessaria, almeno nel senso di contribuire al fluire immaginifico di un mondo diverso, dove esprimere liberamente la propria individualità, al di là degli schemi precostituiti e dei preconcetti d’ ordinanza, senza necessariamente sentirsi “fratello di un altro pianeta”, dal quale si attende invano un messaggio di vicinanza, come succede alla dodicenne Adriana, interpretata dall’esordiente Luana Giuliani, sorprendente per resa immedesimativa e trasporto emozionale. La ragazzina appare propensa ad assecondare sempre più concretamente quelle pressanti istanze trasmesse da un corpo in crescita, messaggere di un’appartenenza precipua al genere maschile, pretendendo infatti di essere chiamata Andrea, anche se la mediazione materna opterà per un più pacifico Adri. Proprio la madre, Clara (Penélope Cruz, che dona al personaggio uno sguardo carico tanto di giocosa, fanciullesca, creatività quanto di mesta rassegnazione), viene vista come punto di riferimento da Adri, in quanto non può che immedesimarsi in quella personalità del tutto annichilita, costretta ad essere diversa da quel che realmente si sentirebbe di essere.

Luana Giuliani e Penélope Cruz (The HotCorn)

Le convenzioni sociali del tempo impongono infatti alla donna una silente assertività nei riguardi delle modalità comportamentali autoritarie, retrograde e profondamente maschiliste esternate dal marito Felice (Vincenzo Amato), mentre Adri intenderebbe offrire al proprio corpo, ormai avviato verso una dimensione figurativa maschile, una dimensionalità caratteriale attraversata da sensibilità ed immedesimazione empatica, entrambe del tutto estranee alla figura paterna, considerando poi come Felice coltivi una “tradizionale” relazione con la segretaria. Quando il genitore è fuori al lavoro, quella casa, freddamente arredata secondo le tendenze del momento, si trasforma in un solare palcoscenico, dove sulle note di Rumore, Clara, Adri e i suoi fratelli più piccoli Gino (Patrizio Francioni) e Diana (Maria Chiara Goretti), apparecchiano la tavola mettendo su dei coreografici passi di danza, mentre al ritorno di Felice tutto diventa più tetro e silente, tra recriminazioni prontamente zittite e violente “pretese d’attenzione” esternate dall’uomo nei confronti della moglie. Adri, nella quotidiana lotta per una completa accettazione della sua più nitida essenza, comportante non poche tensioni nel già compromesso rapporto coniugale, rinverrà al riguardo congrui spazi satisfattivi non certo all’interno della rigida scuola cattolica che frequenta insieme ai fratelli o nei canonici incontri familiari in occasione delle vacanze estive o delle festività natalizie, pur ravvivati da tutta una serie di trovate scherzose organizzate insieme ai fratelli e ai cugini. Provvidenziali saranno piuttosto quegli spazi di libertà garantiti da una fervida e provvidenziale fantasia, dove la realtà si trasmuta al ritmo del celentanesco Prisencolinensinainciusol con Adri a rivestire i panni del molleggiato nazionale e la madre quelli della Carrà, ma anche, nella concretezza del reale, il superamento di quel canneto che divide la “Roma bene” da un provvisorio campo di lavoro al cui interno sono state messe su le casupole per gli operai.

Luana Giuliani, Maria Chiara Goretti e Patrizio Francioni (Movieplayer, foto di Angelo Turetta)

Qui, nell’ambito di un microcosmo per certi versi attraversato ancora da una primigenia purezza, in attesa di venire “colpito da improvviso benessere”, Adri farà la conoscenza della coetanea Sara (Penelope Nieto Conti), che andrà a costituire la prima, forse confusa, esternazione di sentimenti amorosi e pulsioni sessuali ancora ammantate dal candore poetico proprio della prima volta. Ecco allora che, riprendendo quanto scritto ad inizio articolo, presa consapevolezza del fluire mnemonico quale asse portante della narrazione, attraversato dall’incursione, a volte criptica o comunque brusca, della fantasia all’interno dell’ordinario incedere quotidiano, sottolineata da un scintillante bianco e nero d’epoca, mentre solitamente l’apporto sinergico di fotografia (Gergely Pohamok) costumi (Massimo Cantini Parrini) e scenografie (Dimitri Capuani) rimarca i colori del tempo, come scaturenti dalla visione di una vecchia fotografia o di un un filmino in Super 8, L’immensità si sostanzia come una realizzazione forse imperfetta, ma molto sentita e sincera. Una pellicola, andando a concludere, idonea a far riflettere su cosa possa oggi intendersi per famiglia, assecondando i necessari mutamenti, per cui il cosiddetto nucleo familiare tradizionale spesso va a palesarsi quale ideale di comodo, anche ad uso ed abuso politico, affiancato da un modello che certo esula dai consueti canoni, ma avvolto egualmente dall’affetto ove si privilegino comprensione e dialogo rispetto ad egoismi e ripicche, andando a garantire un clima di complicità, indispensabile anche per individuare delle necessarie figure di riferimento, in particolare per una personalità in crescita, ai fini di un inserimento sociale in cui la propria indole, superando anche la classificazione di genere, possa trovare esternazione ed accettazione, circoscritta nell’ambito di una pregnante umanità, compiutamente ritrovata nonché condivisibile.


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.