Scordato

(Movieplayer)

Salerno, 2019. Orlando Bevilacqua (Rocco Papaleo), accordatore di strumenti musicali, è prossimo al compimento del sessantesimo compleanno. La sua vita scorre piatta e monotona: il lavoro, una relazione appena iniziata che ha già il retrogusto dell’incompiutezza, un incipiente mal di schiena che lo affligge, facendosi presente nei momenti forse meno opportuni, considerando come possa essere considerato quale congruo paravento a determinati disagi emotivi. Al pari degli strumenti per i quali è richiesto il suo intervento, il nostro appare scordato, non del tutto in sintonia con quanto lo circonda, dal contesto sociale in poi, nella difficoltà di rinvenire una concreta armonia con la percezione di sé a confronto con l’agire di quanti gli gravitano intorno, amici e conoscenti. Il ricorso, patetico più che terapeutico, a rituali spinelli va ad ammantare ulteriormente l’esistenza di quel grigiore fumoso proprio di chi ha smarrito ormai da tempo il contatto con la propria essenza più intima e pura, in particolare rammentando quegli slanci vitali che lo avevano spinto a comporre poesie insieme alla sorella Rosanna (Angela Curri), visualizzati per il tramite della proiezione mentale del suo io giovane (Simone Corbiserio), nelle vesti di un ciarliero Virgilio a condurlo lungo i gironi di un passato che nasconde qualche lato oscuro e problematiche familiari irrisolte, costringendolo a porsi in continua discussione, con sé stesso, col proprio vissuto, nel mettere a confronto ieri e oggi, ponendo in essere un vicendevole gioco di specchi dalla consistenza autoanalitica. A condurlo ancora più concretamente lungo il sentiero che condurrà ad una forse definitiva accettazione di sé sarà l’incontro con la fisioterapista Olga Santopadre (Giorgia): la sua richiesta di una foto che lo ritragga da giovane comporterà il ritorno di Orlando al paese natale, Lauria, in Basilicata…

Rocco Papaleo (Così parlò Altavista)

Regista, al suo quarto film, interprete e sceneggiatore, in quest’ultimo caso insieme a Valter Lupo, Rocco Papaleo con Scordato mette in scena un elegiaco ed intimistico viaggio introspettivo, volto a porre in essere più di un interrogativo sulla propria condizione umana, in quanto singolo e in relazione con gli altri e la realtà nel suo complesso, per un iter narrativo che assume gradualmente le forme di una suggestiva e particolare partitura musicale, coadiuvato al riguardo dalle ritmate tonalità jazzistiche delineate da Michele Braga per la colonna sonora e contornato da una felice scelta cromatica riguardo la fotografia (Simone D’Onofrio), il presente avvolto da una luce fredda, sbiadita, e il passato emergente dai ricordi, invece, da tonalità più calde e avvolgenti, a rimarcare emblematicamente il descritto disagio esistenziale nel vissuto quotidiano. L’avvio della narrazione appare quindi lento, una sorta di accordatura preparatoria coadiuvata dalle valide interpretazioni attoriali (Corbiserio e Curri in particolare) ad illustrare il contesto nel quale va a muoversi il protagonista, una falsa armonia cui gioverebbe invece qualche leggera nota stonata a conferire il carattere e il colore propri entrambi di una vita vissuta in pieno e non lasciata scorrere supinamente, per poi risuonare con maggiore fluidità ed incisività, fino a giungere al catartico finale. Qui la specularità del luogo tra inizio e fine film andrà a riflettere l’ideale punto d’incontro tra ieri ed oggi, nel rendere una conciliazione con la primigenia purezza dalla consistenza universale, una volta metabolizzati tanto i propri che gli altrui errori, veri o presunti, nell’affermazione della propria individualità in guisa di egualitaria diversificazione dal contesto: Dentro di noi c’è qualcosa che non ha nome e quella cosa è ciò che noi siamo (Josè Saramago).

Papaleo e Giorgia (Cinematografo)

Coniugando ironia e poetico disincanto, Papaleo offre anche una concreta rappresentazione di quella atavica sospensione, spesso caratterizzante il Meridione d’Italia, tra immobilismo e voglia di cambiare profondamente lo status quo, anche sconfinando nella violenza quale protesta contro il sistema (il bel personaggio di Rosanna, cui Curri offre una mescolanza rappresa di dolcezza e rabbia), non rinvenendo nella cultura in sé e per sé considerata un’ “arma” congrua allo scopo (la contrapposizione tra l’ ideologia teorica del professor Deodato, l’ottimo Antonio Petrocelli, e l’agire sul campo della citata Rosanna), almeno fino a quando non si ritroverà il coraggio di contrapporvi quale salutare reazione la forza e la bontà delle proprie idee, del proprio modo d’essere, pur nel contrasto con il contesto sociale nel cui ambito ci si trova a vivere: emblematica la sequenza che vede Orlando esultare, nell’indifferenza generale, per la nomina di Matera a capitale della cultura, come quella del casuale incontro con Filippo Santarsiero, interpretato da Giuseppe Ragone. Il tutto in guisa di opportuno baluardo nel fare la differenza, “in direzione ostinata e contraria”. Ecco allora che Scordato, almeno a parere dello scrivente, va a palesarsi alla visione come un’opera fresca, genuina, spontanea, un cinema degli “affetti speciali” che, coniugando buone idee e gentilezza del tocco, quest’ultimo sospeso, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, tra sarcasmo e disincanto, rimarca la predilezione di Papaleo verso i concetti e gli schemi a lui cari del teatro-canzone, privilegiati rispetto a quelli più propriamente cinematografici, i quali, come nelle sue migliori realizzazioni (penso al folgorante esordio nel 2010 con Basilicata Coast to Coast), vengono in certo qual modo sacrificati sull’altare della massima libertà espressiva.

Simone Corbiserio (Classicult)

Uno sprone “anarchico”, incline a dar vita ad un riuscito melange fra sapida levità, poesia, ironia e toni surreali, il quale accompagna costantemente il corso della narrazione, per una commedia tutto sommato atipica nel nostro attuale panorama cinematografico, considerando la distanza anni luce dai soliti schemi ridanciani, validamente supportata da dialoghi ironici e capace di slanci riflessivi, anche espressi in chiave di riuscita metafora, mantenendosi felicemente distante da ideologie e preconcetti nel descrivere un malessere esistenziale e il suo superamento all’insegna di una ritrovata umanità, tra comprensione e condivisione.


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