
Cuzco, Ande peruviane, anni ’50. L’avventuriero americano Harry Steele (Charlton Heston), si guadagna da vivere come guida turistica, attirando l’attenzione delle signore in virtù del fisico aitante e del sorriso malandrino.
Il nostro possiede qualcosa che potrebbe cambiargli radicalmente l’esistenza, il frammento di una mappa di pietra custodita nel locale museo, così da individuare il luogo dove rinvenire il disco del sole, un pregiato manufatto completamente d’oro, ulteriormente arricchito nella composizione da un buon numero di varie pietre preziose: gli Incas lo persero anni addietro, causando l’ira degli dei e la conseguente caduta in rovina del loro regno, tanto da ritenere che il suo ritrovamento possa garantire una riconciliazione con le divinità e conseguente rinascita dell’antico splendore.
Harry non ha però denaro bastevole a procurarsi i mezzi per intraprendere le ricerche, né ritiene opportuno dar vita ad una società con il losco Ed Morgan (Thomas Mitchell), il quale d’altronde non esita ad assoldare un killer per farlo fuori, fallendo però nell’intento.
Una ghiotta opportunità di poter raggiungere l’agognata località ed impossessarsi del monile si paleserà quando una profuga rumena, Elena Antonescu (Nicole Maurey), gli chiederà aiuto per raggiungere il Messico e da qui gli Stati Uniti d’America: con l’aiuto della donna sottrae infatti un aereo ad un funzionario rumeno giunto in Perù per ricondurla in patria, così da raggiungere Machu Picchu, una piccola deviazione, poi provvederà a condurla dove vorrà, come concordato.
Una volta giunti a destinazione, attraversando il fiume e la foresta, si uniranno alla spedizione archeologica guidata dal dottor Stanley Moorehead (Robert Young), anche lui interessato al ritrovamento del disco del sole, mentre Morgan è già sulle loro tracce, raggiungendoli da lì a poco. Ma intanto Harry, venuto a contatto con i nativi ed apprendendone usi e costumi, ha ben intuito quale importanza abbia per loro il recupero dell’agognato oggetto…
Primo film hollywoodiano ad essere girato in territorio peruviano, cui si aggiunsero riprese in studio, Secret of the Incas, diretto da Jerry Hopper su sceneggiatura di Ranald MacDougall e Sydney Boehm, autore del racconto The Legend of the Incas, che servì da soggetto, si palesa alla visione come un’onesta pellicola d’avventura in stile anni ’50: budget produttivo (Paramount) non particolarmente alto, senso della spettacolarità, moderata, nell’assecondare la visualizzazione di uno scenario esotico (fotografia in Technicolor, Lionel Lindon), attori dall’indubbio carisma e dal valido livello recitativo, un buon lavoro di scrittura, cui non mancano dialoghi anche ironici e con rimandi sessuali neanche poi tanto velati, in particolare considerando l’epoca di realizzazione.
Caratteristiche quelle descritte che consentono di ovviare ad una regia strettamente di mestiere, almeno riporto la mia primaria sensazione, non sempre particolarmente incisiva nel circoscrivere compiutamente ambiente, situazioni e personaggi, comunque idonea ad avallare una narrazione di stampo tradizionale, che intreccia piacevolmente senso dell’avventura e romanticismo, con tanto di sentimenti esternati in duplice modalità, una più sensoriale (l’attrazione palpabile tra Elena e Harry) e l’altra volta, invece, ad una sorta di ammirazione reciproca, nel sentore di qualcosa mai avvertito prima (il senso di affidamento provato, sempre da Elena, nei riguardi del Dr. Moorehead).
Non mancano anche le note di colore locale nel descrivere la vita dei Nativi a livello quasi documentaristico, ricorrendo poi all’intonazione di un canto caratteristico ad opera della cantante peruviana Yma Sumac, nei panni di Kori-Tika. Al di là della sua convincente e tuttora valida godibilità complessiva, Secret of Incas viene spesso ricordato per essere stato, come ebbe modo di dichiarare George Lucas, tra i titoli che andarono ad ispirare il primo capitolo della saga di Indiana Jones, Raiders of the Lost Ark, 1981, Steven Spielberg alla regia su sceneggiatura di Lawrence Kasdan (il soggetto vedeva la firma del citato Lucas e Philip Kaufman), insieme a vari serial cinematografici degli anni ’30 e ’40, andando ad interessare anche il mondo dei fumetti.
Una ulteriore rielaborazione, in chiave prettamente ludica, del linguaggio proprio della controcultura, e della mitologia che ne derivava, ad opera dei Movie Brats della New Hollywood, per lo più giovani talenti provenienti dal cinema indipendente e nuovi autori formatisi in televisione.
Se ad un occhio attento non potranno sfuggire le similitudini tra alcune sequenze dei due film citati, appare subito evidente l’ispirazione per il costume di scena del buon vecchio Indy da quanto indossato dal personaggio di Harry, giacca di cuoio marrone, Fedora e borsa a tracolla. Tra le armi usate risulta comune il revolver, mentre la frusta è un’esclusiva di Jones.
Le caratteristiche psicologiche di quest’ultimo, poi, almeno ad avviso di chi scrive, oltre che trovare ispirazione in vari “duri” della vecchia Hollywood, sembrano rinvenire la loro origine in una congrua mescolanza tra il carattere di Harry, avventuriero ribaldo permeato da un certo idealismo di fondo e quello del Dr. Moorehead, attraversato da una evidente sensibilità nell’esprimere curiosità scientifica e prammatico savoir- faire.
Secret of the Incas, quindi, andando a concludere, non sarà forse un’opera destinata agli annali cinematografici, ma credo si possa inserire nell’elenco di quei film per l’appunto non propriamente memorabili ma certo dispensatori di un concreto piacere alla visione, sempre incline poi a solleticare la memoria su come certa genuina semplicità, narrativa e visuale, sia servita da stimolo inventivo per nuove realizzazioni idonee a riportare in auge il genere avventuroso ai giorni nostri.
In fondo anche all’interno della macchina cinema, mi perdoni Lavoisier per l’azzardato accostamento, “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Immagine di copertina da YouTube, Nicole Maurey e Charlton Eston






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