(Movieplayer)

Scritto e diretto da Christopher Nolan, traendo ispirazione dalla biografia American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer (Kai Bird e Martin J. Sherwin, 2005), Oppenheimer rappresenta, a parere dello scrivente, l’ulteriore dimostrazione di come il cineasta inglese possa essere annoverato tra i pochi autori inclini ad affidarsi al cinema in quanto tale, fonte di appagamento visivo e narrativo.

La messa in scena viene dunque posta al servizio della narrazione, facendo sì che il genere, il biopic in tal caso, vada ad adattarsi ad una del tutto personale poetica stilistica. Il racconto si dipana su diversi piani narrativi, assecondando una composizione a mosaico: l’alternanza di differenti archi temporali risulta slegata da un ordine cronologico, il legame viene reso dalla soggettività di ogni singolo atto, idoneo ad assumere valenza collettiva relativamente alle sue conseguenze.

Il descritto fluire temporale viene poi visualizzato ricorrendo a diversificati stilemi, evidenziando una suggestiva sinergia tra regia, fotografia (Hoyte van Hoytema), montaggio (Jennifer Lame) e, soprattutto, colonna sonora (Ludwig Göransson), forse a volte fin troppo presente, ma vero e proprio fil rouge nel rimarcare i vari accadimenti e il loro incalzare, insieme ai fitti dialoghi e qualche momento significativamente silente.

Da citare a tale ultimo riguardo la sequenza del primo esperimento, Trinity, relativo al lancio della bomba, dove il sinistro rimbombo giunge dopo la deflagrazione, o quella che vede Oppenheimer (Cillian Murphy) di fronte alla commissione d’inchiesta parlare della relazione extraconiugale con Jean Tatlock (Florence Pugh), mentre il pensiero della moglie Katherine (Emily Blunt) va a raffigurare l’amplesso tra i due: l’immagine si rivela più “devastante” del rumore o della parola.

La costruzione complessiva può essere assimilata a quella di un thriller/noir, nella considerazione di come solo nel sopraggiungere del finale venga svelato il contenuto del colloquio tra Oppenheimer e Albert Einstein (Tom Conti), che assume così la valenza del MacGuffin hitchcockiano.

Si svela allora la portata metaforica dell’intero arco narrativo, la visionarietà dello scienziato e la sua ingenuità nel non prevedere i giochi di un potere “vestito di umana sembianza” che si serve delle sue stesse contraddizioni per continuare ad esistere. Spazio anche alla dolente constatazione di aver creato un effetto a catena che, prima o poi, potrebbe portare all’autodistruzione del genere umano, una volta smarrita la strada dell’empatia umanitaria.

Illuminante il dialogo tra il Presidente Truman, un eccelso Gary Oldman, e Oppenheimer, che esterna i suoi dubbi etici sull’eventuale passaggio all’idrogeno e la possibilità di condividere l’invenzione tra le varie nazioni, così da sfruttarne le potenzialità non solo belliche.

Riprendendo quanto scritto, la narrazione spazia dalla vita di Oppenheimer, gli studi in America e altre nazioni europee (Inghilterra, Germania), la sua sfera privata, la personalità scolpita sulla base delle proprie convinzioni in nome di un ego poco avvezzo a limitazioni o controlli (Murphy rende benissimo tutto ciò in particolare attraverso lo sguardo) e piuttosto ondivago riguardo le scelte esistenziali (le simpatie comuniste poi abbandonate, l’indecisione affettiva tra moglie e amante, il sentirsi investito del potere di creare e distruggere, cui seguiranno pesanti rimorsi), per poi essere coinvolto nel Progetto Manhattan dal generale Groves (Matt Damon), con la costruzione di un apposito centro a Los Alamos e dar vita così al gadget ritenuto risolutivo dapprima per sconfiggere i Nazisti e poi i giapponesi.

Questa parte del racconto, “Fissione”, comprensiva dell’udienza privata in cui si discute di una possibile attività comunista, è girata a colori, dapprima vividi e poi gradualmente più spenti, come nella descritta sequenza dell’incontro tra Truman e lo scienziato, a rendere la visione propria di Oppenheimer, mentre quella che vede protagonista il presidente della Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti Lewis Strauss (Robert Downey Jr., eccellente, finalmente ripulito da gigionismi o ammiccamenti), “Fusione”, impiega il bianco e nero, sia per richiamare lo stile delle riprese televisive e delle fotografie del tempo, sia per traghettare il passaggio verso una visione oggettiva, idonea a porre in risalto determinati giochi di potere, i quali a loro volta nascondono, al culmine di una sottesa malevolenza, tutta una serie di piccinerie.

Nolan come di consueto lavora per sottrazione, rimarca gli sguardi silenti, i movimenti, le espressioni facciali, rende  protagonisti i dialoghi, assicurando una costante fluidità in combinazione col succedersi delle immagini, insiste su particolari inquadrature, primi e primissimi piani in particolare, sempre nell’intenzione di coinvolgere gli spettatori all’interno di un “qui ed ora” palpitante e vissuto.

Ricerca quindi la nostra complicità, un invito a  “stare al gioco”, offrendoci in cambio un’atmosfera realistica ed immersiva, rimpiazzando l’immedesimazione con una profonda riflessione su come ogni essere umano, pur con tutto lo scibile acquisito durante il cammino terreno, debba sempre e comunque fare i conti non solo con se stesso e i propri limiti,  ma anche con l’ulteriore senso di onnipotenza di quanti tramite l’esercizio del potere intendano mutare l’ordine naturale delle cose, fino a plasmare il corso della Storia in base ai propri interessi e alle proprie necessità, in nome di una presunta egemonia.

Ecco allora stagliarsi la bellissima sequenza finale, dove si riassume con la forza dell’immagine tutto il peso dell’immane responsabilità gravante su Oppenheimer, moderno Prometeo e per certi versi Ulisse dantesco, aver dato la possibilità all’uomo, in nome di un’inedita conoscenza, di distruggere se stesso: “Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre. In ogni caso, se lo avessi saputo, avrei fatto l’orologiaio” (Albert Einstein, dopo la distruzione di Hiroshima e Nagasaki).

9 risposte a “Oppenheimer”

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